Redazione

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L'International Transport Forum (ITF), cioè il più autorevole gruppo di esperti di politiche del trasporto a livello internazionale, raccomanda alle città di istituire misure di moderazione del traffico e Zone 30

 

Il rapporto, che prende in esame come migliorare la sicurezza dei pedoni, è stato preparato da un gruppo di lavoro di esperti del trasporto e da urbanisti provenienti da 19 paesi.

Secondo la ricerca, riducendo la velocità da 50 km/h fino a 30 km/h si potrebbe ridurre il rischio di morte dei pedoni dell'80%. Si indicano quindi velocità più basse come la chiave per migliorare la sicurezza dei pedoni.

"I pedoni sono tra gli utenti della strada più vulnerabili" spiega Véronique Feypell de la Beaumell, esperta ITF di sicurezza stradale.

Si stima che i pedoni costituiscano un terzo dei morti per incidenti stradali a livello mondiale, con oltre 400.000 decessi registrati ogni anno.

"E 'diventato veramente difficile, soprattutto per le persone anziane e i bambini, fronteggiare le complesse ed ostili condizioni del traffico che caratterizzano le città", aggiunge la Beaumell.

Altre raccomandazioni formulate nella relazione suggeriscono la creazione di incentivi per i dipendenti che si recano al lavoro a piedi e o in bicicletta, sviluppando aree libere dal traffico e dando più spazio al traffico non motorizzato nei centri urbani.

Secondo l'esperto di mobilità urbana dell'ECF, Martti Tulenheimo, l'attuazione di Zone 30 potrebbe aumentare drasticamente il numero di persone che si muove in bicicletta.

"Le Zone 30 possono possono svolgere un ruolo importante in una città ciclabile. Se vengono create come parte integrante della rete ciclabile, rendono più sicuro l'uso della bicicletta e aumentano la percezione di sicurezza dei ciclisti. Se le persone si sentono sicure, andranno in bici più spesso", spiega Tulenheimo.

E aggiunge: "In fin dei conti, non è questione di andare in bici o a piedi. Si tratta di riuscire a vivere e respirare in città dove non ci si deve sentire minacciati dal traffico. Tutte le città dovrebbero essere fatte per le persone".

Il rapporto si basa anche su una una raccomandazione ufficiale del Parlamento Europeo di creare Zone 30 Km/h in tutte le aree urbane e residenziali dell'Europa.

Una copia del rapporto la trovate qui (PDF) oppure qui

Articolo di Julian Ferguson, Communications Officer di ECF (European Cyclists' Federation), la Federazione Europea dei Ciclisti di cui FIAB fa parte.

L'articolo originale in inglese qui.

 

Fonte: fiab-onlus

Lunedì, 03 Dicembre 2012 12:01

Dal Garda all'Adriatico in bici

Un percorso cicloturistico che collega il Garda, il Mincio e il Po, Mantova e Ferrara all'Adriatico: la ciclovia dal Garda al mare Adriatico è stata presentata ufficialmente nei giorni scorsi, al Palazzo della Cervetta di Mantova, dagli assessori al Turismo delle Province di Mantova e Ferrara, rispettivamente Alberto Grandi e Davide Bellotti, dal sindaco di Pieve di Coriano Andrea Bossoli, dal collega di Rovere Sergio Faioni e dal delegato Fiab Pedroni.

 

"La volontà, infatti, è quella di amplificare e dare ulteriore risalto ad un percorso che esiste già ed è meta ogni anno di parecchi turisti offrendo, a chi sceglie il lago come luogo di vacanza, la possibilità di unirvi la visita a due città d'arte patrimonio Unesco e di spingersi fino al mare" ha spiegato l'assessore Grandi.

Un itinerario agevole e adatto a tutti che ha la propria unicità nell'elemento acqua, calato in uno scenario particolarmente suggestivo. "Con questo percorso mettiamo in collegamento due poli turistici tra i più importanti d'Italia. Il percorso che presentiamo e che ha visto l'intervento di due Province sarà assai utile per lo sviluppo del turismo ma anche per la crescita dell'economia locale – ha rimarcato l'assessore al turismo della Provincia di Ferrara Bellotti -. Mi auguro che con questo nostro sforzo si possano incrementare anche le presenze turistiche di stranieri". ". La Provincia di Mantova, che negli anni passati già aveva realizzato la ciclabile Peschiera-Mantova e i diversi tratti di sommità arginale che oggi sono parte integrante della ciclovia, ha investito sul progetto 'Dal Garda all'Adriatico' 20 mila euro per il completamento della segnaletica.

Fonte: ecodellevalli.tv

Mentre i ciclisti norvegesi pedaleranno tranquilli a 10 gradi sottozero, forse a Bologna fioccheranno multe ai ciclisti che osano avventurarsi per le strade innevate.

 

E' inverno. Con il freddo diminuiscono i ciclisti in città (e aumenta l'affollamento sui mezzi pubblici o, peggio, aumentano le auto in circolazione). Però molti ciclisti urbani, per necessità o convinzione, continuano a pedalare, attrezzandosi con l'adeguato abbigliamento per freddo e pioggia.

Anche quando arriva la neve molti ciclisti non si arrendono. Anzi, spesso sono gli unici che riescono ancora a circolare in città paralizzate.

Fa quindi discutere la recente ordinanza del Comune di Bologna che vieta l'uso della bicicletta su tutta la rete stradale in caso di precipitazioni nevose. Provvedimento incomprensibile, tanto più alla luce delle politiche pro-bicicletta che tale Comune diceva di sostenere.

Eppure in Italia, anche al nord (zone montane a parte), serie precipitazioni nevose durante l'inverno rappresentano ormai più un'eccezione che la regola. Allora cosa dovrebbero fare in Scandinavia, dove le neve e ghiaccio è la normalità per molti mesi? Lassù nessuno si è mai sognato di proibire l'uso della bicicletta al quel 20% di ciclisti che, imperterriti, continuano ad usare il loro mezzo per tutto il lungo e duro inverno.

Anzi, come spiega l'articolo di Julian Ferguson che vi proponiamo di leggere dal sito della fiab, all'interno delle politiche per favorire ed incentivare l'uso della bicicletta, i ciclisti norvegesi e finlandesi stanno elaborando proposte per migliorare lo sgombero della neve da piste e corsie ciclabili, in modo che l'uso della bicicletta diventi sempre meno un fenomeno "stagionale".

Possibile che nella ben più calda Italia non si sia in grado di affrontare il problema (per i pochi giorni o settimane che c'investe) senza ledere il diritto costituzionalmente garantito alla libera circolazione? Oppure i ciclisti sono e restano cittadini di serie B?

Fonte: fiab-onlus

20 milioni di sterline saranno stanziati dai Ministeri dei Trasporti e della Salute della Gran Bretagna per finanziare interventi mirati a garantire la tutela dei ciclisti sulle strade; dalla messa in sicurezza di alcuni incroci pericolosi alla realizzazione di nuove piste ciclabili e infrastrutture dedicate (qui il comunicato). I 20 milioni, una cui parte sarà assegnata all'associazione Sustrans, punto di riferimento di ciclisti urbani e cicloturisti britannici, si sommano ai 15 già sbloccati dal Ministero dei Trasporti lo scorso giugno, ed altri 15 per la sola capitale Londra, per un totale investito di 50 milioni. I fondi sono stati ufficializzati lo stesso giorno della pubblicazione da parte dell'Istituto Nazionale per la Salute e l'Eccellenza Clinica (NICE) di una guida per studenti e lavoratori che li esorta ad aumentare i propri spostamenti a piedi e in bicicletta.

 

Secondo il ministro Norman Baker le recenti Olimpiadi e le buone performance dei ciclisti inglesi sono stati gli artefici della riscoperta del piacere di utilizzare la bicicletta in città in molte persone, ed è quindi d'obbligo gestire questa nuova esigenza tutelando nuovi e vecchi ciclisti. E' importante ricordare come i cittadini inglesi siano riusciti ad ottenere tali risultati: da una parte la pressione di alcuni organi di stampa, su tutti il Times con la campagna #cyclesafe, e di alcune componenti parlamentari, come il gruppo di 80 deputati "All Party Parliamentary Cycling", con la campagna Get Britain Cycling, dall'altra alcune circostanze, come i recenti investimenti subiti dal ciclista britannico vincitore dell'ultimo Tour de France, Bradley Wiggins, e del suo coach, a distanza di pochi giorni, che hanno imposto il problema della sicurezza dei ciclisti anche alla stampa e all'opinione pubblica più sorda.

Fonte: amico in viaggio

Il tanto atteso secondo tratto della Ciclopista del Sole che collega il Garda con Firenze passando attraverso Mantova, Bologna, Pistoia e Prato. Con una variante che raggiunge Modena.

Un paesaggio unico, per viaggi organizzati ma anche weekend fuori porta.

Riprendiamo la Ciclopista del Sole che, dopo essere partita dal Brennero e aver attraversato Trento, il Garda e Verona, adesso raggiunge Firenze. Si tratta di 270 chilometri alla portata di tutti, singoli e famiglie, attraverso un paesaggio incantevole che non stanca mai: boschi leggendari, colline, borghi medievali, città d'arte, antiche strade romane... E' l'Italia delle meraviglie che si scopre pagina dopo pagina, pedalata su pedalata. Da Peschiera del Garda si arriva fino a Mantova seguendo i dolci argini del Mincio; si attraversa il Po a San Benedetto per arrivare a Bologna. Da Bologna si segue un po' la valle del Reno per poi specchiarsi nelle profonde acque dell'Arno e raggiungere Firenze, la città d'arte per antonomasia.

Nella Ciclopista del sole 2 è descritta anche un'importante variante di circa 120 km che raggiunge Modena.

 

Fonte: fiab-onlus

In Olanda l'uso delle biciclette come mezzo di locomozione è molto diffuso sia per la conformazione del territorio che per ragioni culturali. Proprio dal Paese dei mulini a vento arriva una novità che potrebbe essere adottata anche da altri Stati. A Utrecht, infatti, l'amministrazione ha manifestato l'intenzione di costruire piste ciclabili riscaldate per aumentare la sicurezza dei ciclisti durante il periodo invernale. L'obiettivo è prevenire la formazione delle lastre di ghiaccio che sono la prima causa di incidenti quando le temperature scendono.

 

Grazie alla geotermia

Il tipo di riscaldamento ipotizzato dovrebbe essere generato dalla geotermia. In particolare, saranno inseriti dei tubi a cinquanta metri sotto il livello del manto stradale: questi dovrebbero accumulare calore durante i mesi più caldi e restituirlo in quelli più freddi. I costi previsti non sono ingenti e potrebbero oscillare tra i 19 mila e i 38 mila euro per chilometro: una cifra quasi equivalente a quella che si spende per posare l'asfalto.

 

fonte: tgcom24

Giovedì, 29 Novembre 2012 12:17

Poesia. I ciclisti sono lacrime

I ciclisti sono lacrime, lacrime della strada,

lacrime al contrario,

costrette a non cadere ma solo a scivolare.

I ciclisti sono statue, statue di sabbia, di voglia di partire,

per poi barattare tutto con la voglia di tornare.

I ciclisti sono silenzi, silenzi di noia, di voglia di cambiare,

e cercare il nuovo in un movimento sempre uguale.

I ciclisti sono segni di biro, scarabocchi di sangue, di polpacci squadrati,

motori di carne che muove il metallo, macchie di vita da un finestrino.

I ciclisti sono polvere, polvere di sale, di ferro e di salita,

di forza che è finita, di livore sui pedali.

[Alessio Di Tommaso]

www.bikeride.it

Giovedì, 29 Novembre 2012 12:11

Ciclofficine: la bici come recupero sociale

Se avete una bici vecchia in cantina da rimettere a nuovo, se avete forato e la vostra catena non va, c'è un posto davvero magico dove potersi rivolgere: le Ciclofficine, spazi autogestiti dove si riciclano o recuperano biciclette dalla spazzatura, in cui si condivide il sapere e la passione per la bici imparando a fare da soli la manutenzione ordinaria del mezzo.

 

Ciclofficine, vere palestre di vita e di crescita in cui si riscopre il valore della manualità e della condivisione gratuita, si insegna a riparare e restaurare biciclette e spesso vengono organizzate aste popolari di bici usate.

È il caso della Ciclofficina di Senigallia di via Montenero: i ciclomeccanici sono ragazzi provenienti da diverse parti del mondo con alle spalle situazioni di disagio sociale. Aperta ufficialmente il 23 novembre, fa parte del progetto "Velo... riciclo", cofinanziato per il 40% dalla Regione Marche con fondi stanziati dalla legge regionale n° 11/2002 ("Sistema integrato per le politiche di sicurezza e di educazione alla legalità") in collaborazione con la Fondazione Caritas, l'Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada, l'Associazione culturale Arancia donna sub sahariana, e le associazioni Noi insieme, Banca del Tempo e Club Amici della Bici.

L'obbiettivo dell'iniziativa è insegnare il mestiere del Biciclettaio e i segreti per riparare una vecchia bicicletta mettendo in gioco diverse abilità e competenze. Durante le riparazioni, i ragazzi sono affiancati da volontari esperti nel settore e da personale della terza età per incentivare la collaborazione intergenerazionale e interetnica, consentendo così il superamento di pregiudizi e diffidenze spesso presenti tra giovani e anziani.

Altrettanto significativa è l'esperienza della "Ciclofficina Bovisa" nel quartiere nord di Milano. Qui si insegna a riparare vecchie biciclette a ragazzi e adulti che hanno disturbi di apprendimento, problemi di tipo cognitivo o con patologie psichiatriche. Un progetto di enorme valore sociale, promosso dall' associazione "La Movida" che mette al centro l'individuo seppur con disabilità e fragilità. Mai come in questo caso la bicicletta assume un significato importante attraverso il quale conquistare autonomia, fiducia e voglia di vivere.

Visita la sezione ciclofficine di Easybike

Fonte: BiciZen

Vi sarete certamente trovati, almeno una volta, nella condizione di dovervi disfare di qualche oggetto ritenuto ormai inutile e ingombrante. Pensateci attentamente prima di farlo, quello che per voi è un inutile ingombro per altri potrebbe essere una risorsa preziosa da utilizzare diversamente, a cui poter attribuire nuovo scopo e nuovo valore.

 

Questo è ciò che affermano i ragazzi di Basurama (da "basura" che in spagnolo significa spazzatura) collettivo di artisti madrileni nato nel 2001, che da tempo si occupa di insegnare, in workshop e laboratori pratici, a ridare un nuovo significato agli oggetti, rielaborandoli in chiave artistica.

Tante sono state le nuove creazioni ma una in particolare ha destato molta attenzione; si tratta di una bici-cinema utilizzata per proiettare filmati in spazi pubblici, nata dal riutilizzo di elementi di vecchie bici da buttare che combinati tra di loro hanno costituito il telaio di una vera bici da carico, su cui sono stati montati proiettore e attrezzature audio. Questa sorta di "figura mitologica", metà bici metà proiettore è stata chiamata Bicinecleta e sta portando immagini, colore e condivisione a Guindalera, un quartiere alle porte di Madrid.

La Bicinecleta si è affermata come strumento di socialità e sta dando ai cittadini la possibilità di riappropriarsi di spazi da tempo inutilizzati e renderli nuovamente vivi proiettando, in forma totalmente gratuita, film e video per i cittadini del quartiere.

Come dicono i ragazzi di Basurama: "Attraverso la Bicinecleta abbiamo denunciato l'esistenza in città di un gran numero di spazi liberi e accessibili che potrebbero essere riqualificati temporaneamente ed essere così messi a disposizione dei cittadini attraverso idee semplici e a impatto zero".

La bicicletta, sotto qualunque forma, riesce a portare armonia e partecipazione, consumando nulla e generando sempre tanta energia positiva.

 

Fonte: bicizen

di Lorenzo Vendemiale - Il Fatto Quotidiano

Pochissimi controlli per mancanza di soldi, ancor meno risultati e una legge che impedisce le iniziative delle associazioni private contro il fenomeno. E così nel mondo delle due ruote per dilettanti si vede di tutto a causa dell'assunzione di sostanze anche più pericolose di quelle assunte dai professionisti.

 

Il doping nel ciclismo non è soltanto la revoca dei sette Tour de France a Lance Armstrong. E neppure i quasi 70 casi di positività riscontrati dall'Uci (Union Cycliste Internationale) negli ultimi tre anni. Il doping nel ciclismo dilaga nel mondo amatoriale: lo dimostra il caso di Lucia Asero, vincitrice del percorso medio all'ultima Granfondo Roma lo scorso ottobre, positiva all'Epo; come era stato trovato positivo Michele Maccanti nel maggio del 2010, appena due mesi prima di aggiudicarsi la prestigiosa Maratona delle Dolomiti. Anche questi sono solo i nomi prestigiosi. Poi ci sono le inchieste fra la gente comune, come quella della Procura di Torino nel 2011; oppure il caso del cinquantenne di Pavia diventato all'improvviso fenomeno e poi risultato positivo all'eritropoietina e al testosterone e condannato a 4 anni di squalifica. Il vero volto del doping nel ciclismo è questo: quello dell'impiegato di mezz'età pronto (chissà se consapevolmente) anche a rischiare la vita per andare più forte in gara alla domenica e vantarsi al bar con gli amici.

Sbaglia chi crede che il doping sia una pratica riservata ai campioni. E' un fatto di costume, una maleducazione molto più diffusa di quel che si pensi. Quanto, precisamente, è difficile dirlo. Ma a sentire il parere dei cicloamatori – quelli puliti, che in questo sport ci credono ancora – vengono i brividi. "E' una vita che vado in bici – racconta Alessandro, da Milano – prima come mestiere, adesso come hobby. E sono sicuro che ci sono più drogati tra gli amatori che tra i professionisti". Lo conferma anche Michele di La Spezia, che corre con la Uisp (Unione Italiana Sport per Tutti), uno dei circuiti amatoriali italiani più importanti: "In gruppo si vedono cose strane: gente che fino al giorno prima era un paracarro e poi rifila venti minuti a tutti in salita. Raramente questi 'miracoli' sono frutto solo dell'allenamento. Credo che almeno il 15-20% dei ciclisti amatoriali faccia uso di sostanze proibite". Ancor più pessimista Francesco Barberis, presidente dell'Udace (Unione Degli Amatori Ciclismo Europeo): "Probabilmente siamo anche sopra il 25%". Un amatore su quattro: una stima agghiacciante. "Ma non sono un indovino, nessuno può dirlo", chiosa Barberis.

Già, il punto è proprio questo: è solo la punta dell'iceberg e nessuno sa cosa ci sia sotto. Perché i controlli non esistono. O meglio, ci sono ma è come se non ci fossero. "Corro da 10 anni e non ho mai fatto un test anti-doping. E l'anno scorso solo una volta mi è capitato di assistere ad un controllo", afferma Luca, dalla provincia di Varese. Non è questione di percezione, lo dicono i numeri. Nel 2011 il Ministero della Salute ha controllato 145 gare e 605 atleti. Peccato, però, che in Italia le gare amatoriali sfondino quota 5mila: nel 2010 solo l'Udace ne ha organizzate 3835. Così i 27 casi di positività riscontrati e la percentuale del 4,4% di dopati (che però nel 2010 saliva al 9%) sono un dato che significa nulla.

Per alcuni la colpa sarebbe delle associazioni, poco interessate a fare dei controlli costosi e che avrebbero il sicuro effetto di ridurre i tesserati. Ma forse le cose non stanno così. Luca Menegatti, dirigente della Uisp – Ciclismo, scarica tutta la responsabilità sul Coni (il referente in Italia della Wada, l'agenzia mondiale antidoping) e sul Ministero (incaricato dell'attività antidoping in ambito giovanile e amatoriale): "Anche se volessimo noi Enti non siamo autorizzati a procedere con i test. Chiediamo da anni una delega ma nessuno ci ascolta". Lo dimostra il caso dell'Udace, che fino a 5-6 anni aveva organizzato una rete autonoma di controlli, appoggiandosi al Laboratorio di Firenze. Poi è arrivato lo stop: solo il Ministero può fare test antidoping presso il Centro dell'Acquacetosa, l'unico riconosciuto in Italia. La denuncia del presidente Udace Barberis è durissima: "Abbiamo dei soldi accantonati in anni di risparmi e saremmo disposti ad investirli tutti nei controlli. Ma non ce lo permettono, non ci riconoscono neanche come associazione perché sperano di fagocitarci e prendersi i nostri 50mila tesserati. E' una vergogna".

Al Ministero, però, non ci stanno a passare per colpevoli. Anzi. Renato Piccinin, Segretario della Commissione di Vigilanza Doping, rivendica la qualità dei controlli effettuati ed espone al fattoquotidiano.it la posizione del Dicastero: "Non bisogna dimenticare che noi copriamo tutti gli sport, non solo il ciclismo. Le nostre possibilità sono queste: abbiamo due milioni di euro di finanziamenti all'anno, con cui dobbiamo fare anche attività di ricerca e formazione. Per i test abbiamo circa 1 milione e 200 mila euro, e vi garantisco che li spendiamo fino all'ultimo centesimo". Alla fine è tutto un problema di soldi, dicono: "Un test può costare fino a quasi mille euro. Per fare controlli a tappeto ci vorrebbe un budget che non abbiamo". Mentre sull'ipotesi di allargare i cordoni dell'attività antidoping dal Coni tagliano corto: "Solo il Coni attraverso le Federazioni e il Ministero possono fare controlli, e il centro dell'Acquacetosa è l'unico autorizzato in Italia. Non si può derogare: le regole sono queste e non le abbiamo fatte noi, ma la Wada".

In questa catena di vincoli e deferimenti la colpa è di tutti e di nessuno. Ma il sistema non funziona e, senza controlli, nel ciclismo amatoriale continua a circolare di tutto; specie eccitanti e ormoni (tra cui la famosa eritropoietina). Ci sono amatori malati al punto da spendere cifre importanti per doparsi: circa 500€ per un ciclo di epo, fino a 3-4mila euro per coprire la stagione. E rischiare la vita: "Perché il doping amatoriale non è come quello dei professionisti, è un doping 'casereccio' e molto pericoloso", spiega il dottor Aldo Rosano, autore della ricerca Il doping nello sport amatoriale per l'Istituto Italiano di Medicina sociale.

"E proprio perché non si tratta di un doping scientifico, insieme alle giuste campagne di educazione alla salute basterebbe una fitta rete di controlli per scoraggiare il fenomeno", aggiunge il dottor Andrea Ferella, responsabile della commissione scientifica dell'Udace. Ma i controlli, purtroppo, non ci sono. E la conclusione è molto amara. "Noi il nostro calendario non lo comunichiamo neanche più al Coni, tanto è inutile", afferma sconsolato Barberis. "Ma i pochi che vengono presi positivi dal Ministero con noi non correranno mai più. E con i soldi che abbiamo da parte finanzieremo progetti per la prevenzione. E? tutto ciò che possiamo fare". Ma difficilmente basterà per guarire il ciclismo.

Fonte: Il Fatto Quotidiano

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