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TORINO (Paolo Coccorese) - lastampa.it

Chi subisce il furto della propria bicicletta, si arrabbia (e molto), ma non va in comando a fare denuncia per la scarsa fiducia di poterla ritrovare. Un pregiudizio che la polizia municipale ha deciso di cancellare con una task-force apposita curata dal Nucleo di Prossimità.

Il progetto «Ladri di biciclette» è nato dopo l'ennesima segnalazione di un furto subito da una signora. «Un fenomeno che a prima vista può non sembrare gravissimo, ma che impatta enormemente sulla quotidianità – dice il dirigente della sicurezza urbana della Polizia municipale, Paola Loiacono -. Negli ultimi mesi, abbiamo notato un incremento dei furti a cui abbiamo deciso di reagire con un intervento strutturato».

L'importanza di fare rete Così è nata la task-force che per prima cosa ha creato una rete con il territorio e, in particolare, con tutte le associazioni degli amanti delle due ruote. Soggetti privilegiati per scovare informazioni che il numero delle denunce non permette di avere. Il più delle volte non si va in commissariato per segnalare il furto della bicicletta. E' questo quello che emerge confrontando il numeri delle denunce e dei ritrovamenti. Da gennaio a settembre di quest'anno, secondo le statistiche della Municipale, sono solo 12 le segnalazioni di furti subiti in città. Un dato che non dà la dimensione del problema se si pensa che, nello stesso lasso di tempo, sono state 102 le biciclette rinvenute dai vigili. Una sproporzione netta che delinea quanto il mondo dei furti delle due ruote è una realtà sommersa.

Le mappe Con le prime informazioni raccolte, i vigili hanno gettato le basi per una strategia che mira a controllare, in particolare, le zone dove di solito finiscono le biciclette rubate. «Il fenomeno dei furti interessa tutta la città – aggiunge Loiacono -. Ma investigando, stiamo disegnando una mappa delle zone dove di solito vengono poi rivendute. In più, vogliamo verificare se abbiamo a che fare con "mine vaganti" o con gruppi organizzati di ladri». Intanto, nella serie di controlli della task-force, domenica è finito un ricettatore che, dopo aver venduto una bici del To-bike in via Priocca, subito recuperata, è stato fermato mentre cercava di allontanarsi in sella ad un'altra appena rubata. Apparteneva ad un ragazzino di Rivalta a cui è stata poi riconsegnata.

«Un iniziativa meritevole per combattere un fenomeno che è aumentato a dismisura», dice Fabio Zanchetta, organizzatore del Bike Pride -. Al mercato del Balon, dieci anni fa, erano poche le biciclette in vendita, oggi sono un centinaio». A queste, bisogna aggiungere il crescente flusso di merce rubata rivenduta nelle altre città.

«La task foce deve essere solo il primo passo – aggiunge Zanchetta -. Il contrasto dei furti deve essere accompagnato dalla massima attenzione al rispetto delle regole della mobilità ciclistica». Prima cosa fa fare: punire gli automobilisti che posteggiano sulle piste ciclabili.

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Breve video clip girato a Berna che ci mostra le particolari doti di equilibrio del biker Andy Ellis con la sua bici fixed, all black.
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Gli Stati Generali della Bicicletta e della Mobilità Nuova di Reggio Emilia si sono conclusi.

 

Sono stati un successo di partecipazione al di là di qualunque ragionevole aspettativa: sono state oltre 1.000 le persone iscritte ai lavori, in qualità di privati cittadini, membri di associazioni, tecnici, ma soprattutto di amministratori e politici desiderosi di gettare le basi per l'Italia di domani.

Dopo due giorni (e notti) di lavori pressoché ininterrotti, i cinque gruppi di lavoro hanno dato vita ad un documento snello ma carico di contenuti che contiene le linee guida per rendere nostre città più vivibili partendo da interventi mirati sulla mobilità: è il Libro Rosso della Ciclabilità e della Mobilità Nuova.

Affinché questo lavoro non rimanga lettera morta occorre, non solo che venga letto da sindaci e assessori di tutti i comuni italiani, ma che sia anche applicato. Gli Stati Generali hanno dimostrato che gli amministratori locali non vedono più la mobilità nuova come una questione accessoria, ma come un segmento di azione strategica per lo sviluppo delle città, però sappiamo bene che chi amministra le città tende a scegliere e a operare sulla base del consenso.

Il nostro compito in questa fase deve essere quello di creare il consenso necessario affinché le nostre amministrazioni si attivino, distribuendo pacche sulle spalle ogni volta che faranno qualche cosa di buono e criticando duramente ogni volta in cui si lasceranno ispirare dalla paura di cambiare.

Ci auguriamo fortemente che questo venga presentato in occasione della prossima assise dell'ANCI che si terrà a Bologna dal 17 al 20 ottobre e che riunirà 3.000 delegati dei comuni di tutta Italia.

Cogliamo l'occasione per ringraziare sentitamente tutti i partecipanti, Legambiente, FIAB, ANCI, il Comune di Reggio Emilia e tutte le testate giornalistiche che hanno portato in evidenza l'evento dimostrando che la ciclabilità e le forme nuove di mobilità non sono più tematiche marginali.

Facciamo cambiare strada all'Italia.

n.b. evitate inutili speculazioni fin troppo facili in Italia: il libro è rosso perché rosso è il colore del sangue lasciato sulle nostre strade, dell'allarme e dell'emergenza, della passione che vi è stata profusa, di una spia che si accende per testimoniare lo stato di arretratezza e la necessità di intervento immediato.

Fonte: #salvaciclisti

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Che la bicicletta sia un toccasana per le economie locali non è più un segreto: periodicamente si conducono studi a riguardo che lo dimostrano con evidenza. L'ultima ricerca sul cicloturismo in Europa ad esempio, condotta in occasione della Settimana Europea della Mobilità, ha rivelato che il settore porta benefici per circa 44 miliardi di euro.

 

Qualche giorno fa sono state invece le associazioni League of American Bicyclists e Alliance for Biking & Walking a stilare un rapporto mostrando il ritorno economico derivante dall'uso della bicicletta (sia a livello turistico che urbano) negli Stati Uniti a livello locale, analizzandolo per i singoli Stati. 904 milioni di dollari per il Wisconsin, più 409 milioni per risparmio sulle spese mediche, 400 milioni per l'Iowa, 60 milioni per la sola zona costiera dell'Outer Banks, nel North Carolina, sono solo alcuni dei dati pubblicati.

Darren Flusche, uno dei coautori della ricerca, ha dichiarato che questi numeri e statistiche hanno un obiettivo preciso, quello di convincere le attività commerciali locali ad accettare di buon grado gli interventi in favore della ciclabilità, su tutti la realizzazione di corsie ciclabili anche all'interno dei centri abitati, che spesso vedono i commercianti contrapporsi, timorosi che la perdita di parcheggi per le automobili possa causare un calo del passeggio davanti alle vetrine. Al contrario è proprio la pedonalizzazione che invoglia il passeggio eppure – sostiene Flusche – senza questi dati convincere i negozianti sarebbe un'impresa.

Altro aspetto rilevante della questione è la creazione di posti di lavoro attorno allo sviluppo del settore della bicicletta: uno studio dell'anno scorso condotto da Heidi Garrett-Peltier del Political Economy Research Institute ha rivelato infatti che ad un investimento di 1 milione di dollari in infrastrutture corrispondono in media 11,4 posti di lavoro, contro i 10 portati da opere di pedonalizzazione, e i 7,8 da interventi stradali.

Flusche riconosce d'altra parte che la situazione negli Stati Uniti è molto varia: non c'è ancora uno sviluppo omogeneo delle politiche per la ciclabilità ma queste hanno un buon riscontro soprattutto in alcune "roccaforti" degli States, tra cui Portland, nell'Oregon, Boulder, nel Colorado, e Devis, in California. Altre realtà in crescita sono Memphis e Chattanooga, nel Tennessee.

Fonte: amicoinviaggio.it 

Mercoledì, 17 Ottobre 2012 12:22

Scelta vegetariana e vita in bicicletta

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E' in libreria "Scelta vegetariana e vita in bicicletta", il nuovo libro di Mauro Destino e Michela De Petris. Gli autori, entrambi specialisti in scienza…
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Nei primi anni del 2000 i media tedeschi scatenarono un dibattito piuttosto acceso sulla contrapposizione ciclisti-pedoni-automobilisti. Questo accadde perché dopo un decennio di politiche di incentivazione all'uso della bicicletta (non saprei dire, ma ma mi viene da dedurre che fossero politiche ben più salde e coerenti delle nostre) il numero di "ciclisti" aumentò considerevolmente.

 

Per una dettagliata lettura su Berlino: http://www.biciebasta.com/index.php?option=com_content&view=article&id=227:reportage-sulla-ciclabilita-berlino-a-due-passi-da-torino-&catid=37:news

La contrapposizione nacque perché i ciclisti continuavano ad aumentare mentre gli spazi rimanevano gli stessi (il contesto urbano e il codice della strada sono fondamentalmente auto-centrici). Anche in Germania, come sta avvenendo in Italia, si iniziò a destinare spazi per le biciclette ritagliandoli principalmente intorno ai percorsi pedonali (in particolare dividendo lo spazio sui marciapiedi) e in generale, senza procedere attraverso politiche organiche e pianificate.

Anche se in modo meno disorganico rispetto alle politiche italiane, questi interventi di ridistribuzione degli spazi non fecero altro che buttare le biciclette addosso ai pedoni scatenando dibattiti e critiche: "perché ecologisti credono di poter fare quello che vogliono", "irrispettosi del codice", "vanno sui marciapiedi", "corrono contromano"... Uno degli alfieri di queste battaglie anticiclisti fu il famoso Bild.

Ora, 12 anni dopo, visitando le realtà urbane tedesche, con le ovvie differenze, ci si accorge subito che la nazione di Wolkswagen, Bmw, Mercedes, Audi, Porsche ha dato molto spazio e importanza alla mobilità ciclabile.

Vinsero quindi i ciclisti la battaglia con pedoni e automobilisti?

Ovviamente no. Questa visione superficiale e distorta di contrapposizione fra utenti della strada venne annichilita da una cosa semplice (ma ci fosse un politico o un giornalista che avesse la pazienza di ragionarci su): lo share modale (o modal split)

Share modale significa percentuale di spostamento.

Semplificando, quel che un buon amministratore deve fare (come hanno fatto in Germania, cercando di replicare le politiche danesi e olandesi) è ragionare sui mezzi di trasporto e non sugli utenti (categorizzandoli).

L'obiettivo non è avere più ciclisti o inchinarsi al loro potere ma aumentare lo share modale degli spostamenti in bicicletta secondo la banale logica del "chiunque può essere ciclista" (come chiunque è o può essere automobilista, pedone o utente dei mezzi pubblici). Deve chiedersi "cosa non funziona" nel contesto urbano nell'interazione fra i mezzi. Cosa c'è da fare affinchè decresca il numero delle conflittualità (e naturalmente degli incidenti)

Il buon amministratore deve ridisegnare strada e gli spazi condivisi affinché chiunque con qualunque mezzo possa interagire con il contesto urbano e con gli altri utenti nel modo più efficiente e meno conflittuale possibile.

Il buon amministratore sa che è prima di tutto è la strada ad esortare (e quindi educare) ad un comportamento consono e rispettoso (invocare il buon senso che si infonda per miriacolo su tutti i cittadini è poco intelligente)

Il buon amministratore deve porsi poi degli obiettivi, progettare delle soluzioni ed attuarle. Aumentare lo share modale ciclistico al 20% significa predisporre la strada e ripensare alle regole della viabilità affinché questo 20% di traffico possa realmente e in sicurezza percorrere ogni punto della città (in Italia ci fermiamo alla ricerca degli obiettivi e delle soluzioni, senza attuarle).

Dopo 12 anni e buone amministrazioni (generalizzo, non tutta la Germania funziona così bene) la polemica si è svuotata e buona parte del popolo tedesco ha semplicemente compreso che i ciclisti non sono una categoria a sé stante ma solo cittadini che usano la bicicletta (per una percentuale dei propri spostamenti).

Sarebbe superfluo rispondere a chi chiede perché aumentare lo share modale ciclistico. Basti pensare ad una città come Copenaghen per rispondere.

A Copenaghen il 35% dello share modale è ciclistico ma il 99% dei cittadini è ciclista. Hanno a disposizione una città che accoglie qualunque mezzo e a seconda dell'utilità scelgono quello più opportuno.

Ridisegnando completamente le strade e lo spazio urbano riducendo sostanzialmente lo spazio alle auto, ha raggiunto questo risultato:

35% di spostamenti in meno delle auto,

35% in meno di traffico e congestionamento (le vie danesi sono scorrevoli per auto, mezzi pubblici, mezzi commerciali)

35% in meno di inquinamento atmosferico e acustico,

35% in meno di incidenti e qualche centinaio di milioni di euro risparmiati in spese sanitarie,

35% in meno di morti e feriti.

Qua il reportage su Copenaghen: http://www.biciebasta.com/index.php?option=com_content&view=article&id=405:mobilita-ciclabile-dal-mondo-il-modello-copenhagen&catid=37:news

Noi continuiamo a sentire, anche ai piani alti dell'amministrazione, che..." gli interventi per i ciclisti".."che voi associazioni dovreste spiegare ai ciclisti..". Continuiamo ad osservare inerti interventi inutili (ciclabili sui marciapiedi o a centro strada) e a leggere di cittadini infuriati perché i ciclisti corrono sotto i portici o sui marciapiedi (senza porsi la domanda sul perché questo accada o rispondendosi superificialmente "che i ciclisti sono irrispettosi"). E poi ci tocca pure leggere che l'obiettivo è aumentare il protagonista di questo articolo, lo split modale, al 15-20%. Forse c'è qualcosa che non va?

Insomma. Non abbiamo ancora capito una mazza.

Altro che Germania (che rimane sempre la patria di Wolkswagen)

Per chi è interessato ad analizzare i dati di share modale...(Torino, naturalmente, ha uno share modale sbilanciatissimo verso l'uso dell'auto): http://www.epomm.eu/tems/index.phtml

 

Fonte: biciebasta.com

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