Lunedì, 30 Aprile 2012 12:52

#salvaiciclisti in piazza: 50.000 cittadini in bici nella capitale

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La prima manifestazione organizzata dal movimento salvaiciclisti, nato su twitter dopo l’ennesima morte in strada di un ciclista, è stata senza dubbio un successo.  In cinquantamila si sono ritrovati a Roma per riaffermare di essere cittadini in bici, chiedendo un impegno concreto alla politica per un'altra mobilità su strada, pulita e sicura.

Ancora una volta sono i social network a dare vita ad un movimento concreto, in carne e ossa e… pedali. L’hastag #salvaiciclisti si materializza a Roma per la manifestazione nazionale, o meglio bicifestazione per richiamare l’attenzione sul tema della sicurezza su strada e della mobilità sostenibile, ma la manifestazione si spinge molto più in là, chiedendo, nei vari reportage televisivi della sera e nel corso degli interventi nella giornata, un modello di sviluppo diverso da quello attuale, caratterizzato da auto, benzina e inquinamento.
Nata con mille difficoltà dovute ai permessi, i ciclisti mobilitati hanno invaso Roma con il colore e la creatività che accompagna una filosofia di vita, che accumuna sempre più persone.
“Noi non siamo ciclisti, ma cittadini in bici.” La voce che si alza dal palco della manifestazione del 28 aprile, sotto intendendo la  richiesta seria di impegno da parte della politica per sviluppare una mobilità altra, amica dell’ambiente e dei cittadini in bici, che vivono la viabilità urbana con pericolo e con dati inquietanti dal punto di vista delle morti sulle due ruote: negli ultimi dieci anni 2.556 ciclisti sono morti su strada
Il movimento è gemello dell’iniziativa Cities fit for cyclists del Times, nata dopo la morte di una giornalista in bici a Londra. In Italia si è sviluppato su twitter ed è diventato un  movimento di opinione che ha coinvolto mass media e istituzioni in tutto il Paese.
Mai slogan è stato più giusto e di buon auspicio: L'Italia cambia strada

info: http://www.salvaciclisti.it./

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    Piccola premessa: l'argomento, posto in questa chiave, di conflittualità appunto, è stato molto battuto nei mesi scorsi da diverse e importanti testate giornalistiche, nazionali e internazionali, probabilmente perché giudicato vincente sotto il punto di vista mediatico. Comunemente infatti, si è soliti schierarsi dalla parte di una o l'altra categoria, in questo caso di utenti della strada (ma l'abitudine vige anche in altri ambiti della società), dimenticando che spesso tali categorie coincidono.

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    In un successivo e lapidario tweet, lo stesso Kaya Burgess ha poi tuonato: "chi dice che tutti i ciclisti sono indisciplinati e che tutti gli automobilisti sono degli assassini merita di essere snobbato e di non ricevere risposta". Posizione forse democristiana e un po' buonista? Nient'affatto, anzi piuttosto realista. Nella migliore delle ipotesi infatti, prendiamo il caso di Copenaghen, capitale della Danimarca e città bike friendly per antonomasia, si sposta in bicicletta circa il 30% dei cittadini, seguito da una quota quasi uguale di coloro che utilizzano l'automobile, e una minoranza che invece si muove a piedi o con il trasporto pubblico.

    E' per questo che almeno per il breve periodo, ciò a cui si può, e certamente si deve ambire, è una pacifica convivenza sulle strade, con buona pace di chi vorrebbe veder scomparire tutti i ciclisti e chi bruciare tutte le automobili in circolazione.

    Ma veniamo alle testimonianze. Le prime polemiche, allora sotto forma di ridicolizzazione, nei confronti dei ciclisti, sono state espresse praticamente fin dalla nascita della bicicletta stessa, attraverso alcune vignette dei primi anni del 1800. Si intenda per bicicletta la "draisina", sviluppata intorno al 1817, ben quarant'anni prima del "velocipede", quello con i primi pedali e la ruota grande anteriore, per capirci. In particolare, una vignetta del Federal Republican and Baltimore Telegraph parla nel 1819 di un nuovo strampalato mezzo a due ruote trainato da gente un po' sciocca, invece che dai cavalli come accadeva solitamente.

    La vignetta [nella foto - ndr], opera di Charles Williams, mostra un ciclista colpito alle spalle (o meglio al deretano!) da un forcone, e un altro gettato a terra e vistosamente maltrattato. In un particolare della raffigurazione, tra l'altro, viene mostrato un segnale stradale che indica la città di Coventry che, per una strana coincidenza, ha rappresentato dal 1870 in poi il cuore dell'industria ciclistica britannica.

    Tale iniziale diffidenza, per meglio dire presa di mira, nei confronti del nuovo umile mezzo, risiedeva secondo alcuni nel timore da parte di gruppi di pochi abbienti legati al commercio dei cavalli, che vedevano nella diffusione della bicicletta una minaccia al proliferare dei loro affari.

    La situazione di duecento anni fa, insomma, non era molto dissimile da quella che viviamo oggigiorno, in cui l'influenza delle case automobilistiche, in piena sinergia tra loro, tende a sfavorire le politiche per la ciclabilità malgrado la bicicletta sia oggettivamente riconosciuto il mezzo di trasporto più ecologico, sostenibile, economico, e in alcuni contesti urbani addirittura il più veloce.

    di Alessandro Micozzi - www.amicoinviaggio.it

    Fonte: Fiab onlus

  • Zone 30 in citta' per la sicurezza di ciclisti e pedoni
    L'International Transport Forum (ITF), cioè il più autorevole gruppo di esperti di politiche del trasporto a livello internazionale, raccomanda alle città di istituire misure di moderazione del traffico e Zone 30

     

    Il rapporto, che prende in esame come migliorare la sicurezza dei pedoni, è stato preparato da un gruppo di lavoro di esperti del trasporto e da urbanisti provenienti da 19 paesi.

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    "E 'diventato veramente difficile, soprattutto per le persone anziane e i bambini, fronteggiare le complesse ed ostili condizioni del traffico che caratterizzano le città", aggiunge la Beaumell.

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    Secondo l'esperto di mobilità urbana dell'ECF, Martti Tulenheimo, l'attuazione di Zone 30 potrebbe aumentare drasticamente il numero di persone che si muove in bicicletta.

    "Le Zone 30 possono possono svolgere un ruolo importante in una città ciclabile. Se vengono create come parte integrante della rete ciclabile, rendono più sicuro l'uso della bicicletta e aumentano la percezione di sicurezza dei ciclisti. Se le persone si sentono sicure, andranno in bici più spesso", spiega Tulenheimo.

    E aggiunge: "In fin dei conti, non è questione di andare in bici o a piedi. Si tratta di riuscire a vivere e respirare in città dove non ci si deve sentire minacciati dal traffico. Tutte le città dovrebbero essere fatte per le persone".

    Il rapporto si basa anche su una una raccomandazione ufficiale del Parlamento Europeo di creare Zone 30 Km/h in tutte le aree urbane e residenziali dell'Europa.

    Una copia del rapporto la trovate qui (PDF) oppure qui

    Articolo di Julian Ferguson, Communications Officer di ECF (European Cyclists' Federation), la Federazione Europea dei Ciclisti di cui FIAB fa parte.

    L'articolo originale in inglese qui.

     

    Fonte: fiab-onlus

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