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Mercoledì, 11 Settembre 2013 15:27

La Filosofia Va in Bicicletta

La Filosofia Va in Bicicletta

Autore: Walter Bernardi

Prezzo: € 14,50

Pagine: 169

Editore: Edicicloeditore

Descrizione

Che cosa hanno in comune, a parte la loro tragica fine, Socrate, il filosofo ateniese che insegnava con il dialogo a "tirar fuori" le idee, e Marco Pantani, il Pirata romagnolo, che andava più forte degli altri in salita per accorciare l'agonia?

E che cosa rende le fatiche di Gino Bartali simili all'ascesi di un mistico medievale e quelle di Fausto Coppi, al contrario, così prossime al meccanicismo cartesiano?

Lo scoprirete seguendo la ruota e leggendo le pagine di Walter Bernardi, filosofo e professore universitario, appassionato cicloamatore e, in ragione di questa decennale pratica ciclofilosofica, convinto assertore della tesi che "la filosofia va in bicicletta".

Con la leggerezza di uno scalatore, con la potenza di un finisseur, con l'agilità di uno scattista, Bernardi percorre un suo personalissimo "Giro d'Italia" filosofico andando in fuga con Fiorenzo Magni e Steve Jobs, piroettando in equilibrio con Albert Einstein e Margherita Hack, facendo un surplace con Diogene e Nietzsche, ragionando infine di massimi sistemi con Alfredo Martini.

Alla cui reverenda saggezza bisognerà pur dare retta quando dice, lui che al ciclismo ha dedicato la vita e conquistato tanti allori, che in bicicletta più si pedala e più si pensa.

Fonte: Edicicloeditore

Pubblicato in LIBRI
Argomento trattato:
Mercoledì, 16 Gennaio 2013 12:11

Gino Bartali, il mito brontolone

di Gianni Trivellato

Rimestando in un vecchio baule ho ritrovato, tra tante vecchie testimonianze, anche una raccolta della Gazzetta dello Sport, anni ottanta. E sfogliando il giornale, ad un certo punto mi sono imbattuto in una prima pagina che esaltava un trionfo di Gino Bartali al Tour de France del 1948.

Cosi' mi e' tornata alla memoria un'intervista che ho avuto il piacere di fare ad un campione che, assieme a Coppi, rimane un mito dello sport italiano, nonostante un carattere non certamente facile. "L'e' tutto sbagliato! L'e' tutto da rifare!" Una frase che il "ginettaccio" ripeteva spesso e che oggi sarebbe quanto mai attuale, considerata la situazione in cui si trova l'Italia, sia politicamente che economicamente.

Lo chiamavano il "brontolone", perche' aveva spesso di cui ridire, ma non sempre a torto. Io ebbi la fortuna di conoscerlo, e di poterlo intervistare, in una giornata di riposo del Giro negli ormani lontani anni ottanta. Se non ricordo male, mi pare fossimo dalle parti di Rieti, in una corsa rosa poi vinta da Moser, anche se a mio modesto avviso il vincitore morale fu il francese Fignon. Lo scrissi sul giornale e lo dissi anche alla radio, con il rischio di inimicarmi le simpatie del Checco nazionale, a quel tempo primatista del record dell'ora.

E proprio in quella occasione ebbi modo di appurare come Moser fosse e sia una persona intelligente, disposto ad acettare tutti i pareri, anche quelli a lui contrari. Ma torniamo al "Ginettaccio". Gli anni ottanta contrassegnarono i primi cambiamenti in un ciclismo che da eroico e intriso quasi esclusivamente di passionalita' stava diventando sempre piu' professionale, laddove nulla sarebbe poi stato lasciato all'improvvisazione.

Comparvero al Giro le prime cosidette "cliniche mobili", grandi pullman particolarmente attrezzati da un punto di vista sanitario, dove i piu' grandi campioni salivano al termine delle tappe piu' impegnative, si diceva, per un "lavaggio del sangue". In poche parole per depurarlo: e se chiedevi maggiori e piu' approfondite informazioni sulla questione, ti veniva riposto che non c'era nulla di illecito e che era tutto legalmente consentito. Pero' in quei pullman ti guardavano bene dal farti entrare.

Quando chiesi a Bartali un suo parere su questa novita', brontolo' qualcosa sottovoce, e riuscii a capire a stento che secondo lui si stava imboccando una strada sbagliata. "Muscoli buoni, fiato in abbondanza e tanti sacrifici negli allenamenti - mi disse - sono i giusti ingredienti per correre in biciletta e arrivare primi, sia sulle montagne che nelle volate". Io aggiungo anche un cuore che a riposo non superava i 36-38 battiti al minuto.

Allora, di fronte a questi suoi brontolii, ricordo bene che quasi nessuno si prestava ad ascoltarlo. Ma oggi, pensando alle vicende legate allo statunitense Amstrong, si capisce come il "Ginettaccio" avesse purtroppo ragione. La carriera ciclistica di Bartali ha dell'incredibile, se si pensa che vinse due Tour, tre Giri, 4 Milano-Sanremo, vesti' 4 volte la maglia di campione d'Italia, e poi vari Giri di Lombardia, di Svizzera, di Toscana e altri ancora. Il tutto nonostante in mezzo a cotanta carriera vi sia stata la guerra, con un'interruzione delle corse ciclistiche di quasi sei anni! Una vita spesa in gran parte per la bicicletta, senza pero' trascurare la famiglia e il suo Credo.

Bartali era infatti un fervente cattolico e non cerco' mai di mascherare questa sua profonda convinzione. In quell'inchiesta, tra le tante testimonianze sportive, gli chiesi perche' credeva in Dio e chi gli aveva dato quella forza. "Ce l'ho dentro di me, e' un dono di Dio e io lo ringrazio ogni giorno per questo grande regalo. Vorrei che tutti gli uomini pensassero come me, e allora non ci sarebbero ne' guerre ne' ingiustizie". Bartali e Coppi, impossibile dire chi sia stato piu' grande. Il giudizio piu' sincero lo ha dato Fiorenzo Magni, il cosidetto "terzo incomodo" e che vivendo la stessa epoca sportiva dovette accontentarsi delle...briciole. "Li ho sempre ritenuti due autentici fuoriclasse. Io - continua Magni - sono stato sempre con i piedi per terra riconoscendo la loro superiorita'. Li chiamavo "i due diavoli", era come corressero su un altro pianeta e hanno fatto sicuramente la storia di un ciclismo che oggi, e lo dico con grande rimpianto, non esiste piu".

Un ciclismo che oscurava anche le vicende del pallone, tanto e' vero che una loro vittoria veniva celebrata sulla Gazzetta in prima pagina e il derby tra Juventus e Torino andava in terza pagina. In poche parole il calcio doveva accontentarsi del secondo posto dopo il ciclismo. In quegli anni ottanta la famosa foto che ritraeva Coppi e Bartali che si passavano una bottiglietta d'acqua non faceva tanto rumore come oggi. Potessi interrvistarlo oggi, chiederei a Bartali se fosse stato lui a passarla a Coppi o viceversa.

Avendolo conosciuto abbastanza bene sono quasi sicuro che mi risponderebbe con un mezzo sorrisetto, dimostrando di possedere anche una buona dose di diplomazia. "Non ricordo bene - mi direbbe - eravamo sotto sforzo in una impegnativa salita. Chissa' quante altre volte si e' ripetuto un gesto simile. Come potrei ricordare proprio quello?" Gia', come avrebbe potuto...Anche perche' va detto che la loro era molto di piu' di una semplice rivalita', condita comunque sempre di stima e rispetto, l'uno verso l'altro.

Quelli di Bartali e di Coppi erano due mondi diversi che si sfioravano solamente sulle salite del Giro o del Tour. Per il resto erano due mondi lontani anni luce. Da una parte il Gino, un atleta che interpretava i sogni di una sponda popolare moderata, legata alla Democrazia Cristaian. Dall'altra un atleta elegante, con un talento ciclistico quasi sopranaturale, portato a meglio sposare (cosi' si dice) le famose bandiere rosse. Erano i tempi di un'Italia simile a quella di Don Camillo e Peppone, un'Italia che una mattina del 1948 sfioro' una guerra civile quando un giovanotto sparo' al segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti con il rischio di ucciderlo. Centinaia di migliaia di italiani scesero in piaza innalzando le bandiere con la falce e il martello e si temette veramente il peggio.

Allora il presidente del Consiglio era il democristinao Alcide De Gasperi che telefono' a Bartali impegnato al Tour. Gli chiese chiaro e tondo di vincere per l'Italia. In due giorni si affrontarono altrettanti micidiali tapponi: la Cannes-Briancon e la Briancon-Aix les Bains. Bartali sbaraglio' il campo e addirittura volo' sul mitico Izoard, lasciando a bocca aperta i francesi, convinti di avere ormai il Tour in tasca. La notizia del trionfo di Bartali arrivo' attraverso la radio nel pomeriggio e nelle piazze le manifestazioni di protesta politica si trasformarono in cortei festosi al grido di "Viva Bartali! Viva l'Italia!" Chissa', mi piace immaginare che forse ancora oggi Bartali, lassu' tra le stelle, ricorda con orgoglio quel memorabile giorno.

Fonte: bicidepoca.com

Pubblicato in IN EVIDENZA
Venerdì, 23 Novembre 2012 12:44

Coppi e Bartali; ciclismo e amicizia d'altri tempi

Coppi e Bartali: «Un rivale come alleato». E una perifrasi che vale tanto per l'uno quanto per l'altro: il toscanaccio e il piemontese. Nello sport come nella vita. Perché tra i due è proprio andata così. «Un rivale come alleato» è il titolo dell'ultima storia di sport raccontata in giro per l'Italia dal giornalista di Mediaset Nando Sanvito, esperto di calcio per una volta prestato al ciclismo. E in questo caso il titolo dice con chiarezza, più di tanta retorica, quale è la chiave di lettura con cui Sanvito ha riproposto, a una folta platea radunata venerdì a Carate Brianza, la storia della più grande rivalità sportiva italiana degli anni a cavallo della seconda guerra mondiale: quella tra i ciclisti Gino Bartali e Fausto Coppi. Due nomi che, forse, ai più giovani appassionati di sport ma digiuni di annali del ciclismo (anche tra i ciclisti!) cominciano a non comunicare quasi più nulla. Nulla, se non il rimbombo sordo dei luoghi comuni con cui, a cinquant'anni di distanza, vengono ricordate dai media le gesta in bianco e nero dell'Airone e il Ginettaccio, sullo sfondo di un'Italia prima allo sfascio, divisa tra fascio e partigiani ma che poi è risorta. Un motivo in più, questo, per risentire, con piacere, raccontare di nuovo le loro imprese in sella alla Legnano e alla Bianchi, ma soprattutto, la storia della loro amicizia. Perché di questo, in fondo, si tratta. Della storia di un rapporto tra uomini veri che è iniziato sui tornanti dell'Alpe d'Huez e del Galibier, delle Dolomiti e dello Stelvio, ma che ha fin da subito raggiunto le pagine della vita di entrambi – di tutta la vita intera – dentro e oltre lo sport, fino e oltre la morte.

 

UNA CERTEZZA.

Se una certezza emerge non appena la serata muove i suoi primi passi (il percorso curato da Sanvito si snoda tra foto e video d'epoca appoggiandosi a spezzoni della recente fiction andata in onda sulla Rai in occasione del 50° della foto in cui sul Galibier i due si scambiano l'altrettanto celebre bottiglia d'acqua Vichy, ndr) è che tra Coppi e Bartali quello "con la testa sulle spalle" era Gino. Che sarà per Fausto, più giovane di cinque anni, il punto saldo e di conforto cui appoggiarsi lungo tutti i momenti difficili che il Campionissimo ha dovuto attraversare, dalle prime fatiche sui pedali, alla difficile situazione familiare vissuta tra la separazione dalla moglie Bruna e il rapporto con Giulia Occhini, la "Dama Bianca", madre del figlio Faustino, fino al brutto incidente che mise prematuramente fine alla sua carriera. Fu proprio Bartali, infatti, che, dopo aver terminato la carriera e aver assunto il ruolo di direttore sportivo della squadra San Pellegrino da lui fondata, offrì l'ultima chance a Coppi, che poi, a seguito di un viaggio in Africa, si ammalò di malaria e morì, non potendo di fatto mai correre per il rivale di un tempo. Da notare inoltre la segnalazione di Sanvito sulla manifestata volontà da parte di Fausto Coppi, prima di morire, di voler incontrare il vescovo di Milano per chiedere consiglio sulla sua situazione familiare e sulla soluzione migliore per evitare sofferenze ai suoi cari.

UOMINI VERI.

Non mancano gli episodi che fanno capire la stoffa umana dei due campioni. Uno su tutti è il racconto delle gesta di Gino Bartali nel periodo in cui le competizioni vennero sospese per la guerra. Scampato alla leva per una malformazione al cuore (né lui né Coppi, quest'ultimo per un problema ai polmoni, avrebbero mai potuto correre se ci fosse stata l'obbligatorietà dell'idoneità medico-sportiva!), con il permesso di potersi allenare, Bartali percorse tra il 1943 e il 1944 la tratta dalla stazione di Cortona al monastero di Assisi per portare documenti, nascosti all'interno della canna della bici, che contribuirono a salvare la vita di migliaia di ebrei, adulti e bambini.

Un altro episodio da ricordare è il festeggiamento per il primo Giro d'Italia vinto, in cui Bartali si rifiutò di ringraziare pubblicamente il Duce, spiegando che lui di tessera aveva già quella dell'Azione Cattolica e di quella della Gioventù Fascista non sapeva che farsene. Ma le pagine più belle sono quelle della rivalità sportiva tra Coppi e Bartali, una rivalità fatta al tempo stesso di un'infinità di colpi bassi ma anche di grandissimi gesti di lealtà e rispetto, sia sulle strade del Tour de France sia su quelle del Giro. E il racconto di Sanvito ha il pregio di non essere una versione edulcorata o di parte, né per l'uno né per l'altro, ma il racconto obiettivo di come si sono svolte le due carriere, dalle prime vittorie di Bartali, a quelle di Coppi, passando per la rivalità nata alla Legnano quando emerse il giovane talento di Fausto, allora gregario di Bartali, poi suo capitano e dopo in squadre diverse: Bianchi e Legnano prima, Bianchi e Bartali poi.

UN CICLISMO A MISURA D'UOMO.

Il quadro che emerge alla fine è quello di un ciclismo a misura d'uomo, in cui già c'erano polemiche a non finire su doping e durata della stagione sportiva, con gli organizzatori che stressavano gli atleti esagerando già allora il numero di competizioni e impegni. Proprio come oggi, insomma. E proprio oggi come allora, a uomini veri come Gino e Fausto – che di certo non mancano né in gruppo né tra gli organizzatori – il ciclismo deve sapersi affidare se vuole ripartire ed uscire dalla nuvola di fango in cui si è infilato negli ultimi anni, tra affari di doping e combine, vere o presunte che siano.

Fonte: tempi.it

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