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UNA CERTEZZA.
Se una certezza emerge non appena la serata muove i suoi primi passi (il percorso curato da Sanvito si snoda tra foto e video d'epoca appoggiandosi a spezzoni della recente fiction andata in onda sulla Rai in occasione del 50° della foto in cui sul Galibier i due si scambiano l'altrettanto celebre bottiglia d'acqua Vichy, ndr) è che tra Coppi e Bartali quello "con la testa sulle spalle" era Gino. Che sarà per Fausto, più giovane di cinque anni, il punto saldo e di conforto cui appoggiarsi lungo tutti i momenti difficili che il Campionissimo ha dovuto attraversare, dalle prime fatiche sui pedali, alla difficile situazione familiare vissuta tra la separazione dalla moglie Bruna e il rapporto con Giulia Occhini, la "Dama Bianca", madre del figlio Faustino, fino al brutto incidente che mise prematuramente fine alla sua carriera. Fu proprio Bartali, infatti, che, dopo aver terminato la carriera e aver assunto il ruolo di direttore sportivo della squadra San Pellegrino da lui fondata, offrì l'ultima chance a Coppi, che poi, a seguito di un viaggio in Africa, si ammalò di malaria e morì, non potendo di fatto mai correre per il rivale di un tempo. Da notare inoltre la segnalazione di Sanvito sulla manifestata volontà da parte di Fausto Coppi, prima di morire, di voler incontrare il vescovo di Milano per chiedere consiglio sulla sua situazione familiare e sulla soluzione migliore per evitare sofferenze ai suoi cari.
UOMINI VERI.
Non mancano gli episodi che fanno capire la stoffa umana dei due campioni. Uno su tutti è il racconto delle gesta di Gino Bartali nel periodo in cui le competizioni vennero sospese per la guerra. Scampato alla leva per una malformazione al cuore (né lui né Coppi, quest'ultimo per un problema ai polmoni, avrebbero mai potuto correre se ci fosse stata l'obbligatorietà dell'idoneità medico-sportiva!), con il permesso di potersi allenare, Bartali percorse tra il 1943 e il 1944 la tratta dalla stazione di Cortona al monastero di Assisi per portare documenti, nascosti all'interno della canna della bici, che contribuirono a salvare la vita di migliaia di ebrei, adulti e bambini.
Un altro episodio da ricordare è il festeggiamento per il primo Giro d'Italia vinto, in cui Bartali si rifiutò di ringraziare pubblicamente il Duce, spiegando che lui di tessera aveva già quella dell'Azione Cattolica e di quella della Gioventù Fascista non sapeva che farsene. Ma le pagine più belle sono quelle della rivalità sportiva tra Coppi e Bartali, una rivalità fatta al tempo stesso di un'infinità di colpi bassi ma anche di grandissimi gesti di lealtà e rispetto, sia sulle strade del Tour de France sia su quelle del Giro. E il racconto di Sanvito ha il pregio di non essere una versione edulcorata o di parte, né per l'uno né per l'altro, ma il racconto obiettivo di come si sono svolte le due carriere, dalle prime vittorie di Bartali, a quelle di Coppi, passando per la rivalità nata alla Legnano quando emerse il giovane talento di Fausto, allora gregario di Bartali, poi suo capitano e dopo in squadre diverse: Bianchi e Legnano prima, Bianchi e Bartali poi.
UN CICLISMO A MISURA D'UOMO.
Il quadro che emerge alla fine è quello di un ciclismo a misura d'uomo, in cui già c'erano polemiche a non finire su doping e durata della stagione sportiva, con gli organizzatori che stressavano gli atleti esagerando già allora il numero di competizioni e impegni. Proprio come oggi, insomma. E proprio oggi come allora, a uomini veri come Gino e Fausto – che di certo non mancano né in gruppo né tra gli organizzatori – il ciclismo deve sapersi affidare se vuole ripartire ed uscire dalla nuvola di fango in cui si è infilato negli ultimi anni, tra affari di doping e combine, vere o presunte che siano.
Fonte: tempi.it