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La cronaca ci racconta di un'anziana signora padovana sorpresa a pedalare in autostrada. Mentre si considera giustamente pura follia l'idea che qualcuno pedali in autostrada, d'altra parte il diritto a percorrere strade alternative più sicure viene sistematicamente negato. Provate a seguire la segnaletica e vi troverete a pedalare sulle strade peggiori, se non addirittura a dovervi fermare di fronte a divieti. Se un ciclista non è bravo con mappe o gps non giungerà mai a destinazione. Ma tutto ciò non è leggermente incostituzionale?
«Volevo andare a trovare mio figlio che lavora in ospedale, ma avevo paura di trovare traffico. Per questo ho preso la bicicletta». È l’incredibile e disarmante giustificazione resa da una non più giovanissima signora padovana agli agenti della stradale che l’hanno fermata mentre pedalava tranquilla in autostrada dove aveva percorso quasi 20 chilometri, verso Monselice. Sono state le numerose telefonate degli automobilisti a mettere in allarme la Polizia stradale di Rovigo che, sembrerebbe, ci ha impiegato un po’ a convincere la signora che quella non era la strada più adatta per le biciclette. Con le dovute maniere – e con un sospiro di sollievo – gli agenti l’hanno accompagnata fuori. Questa la notizia recentemente riportata dai giornali e ripresa dalla nostra rivista BC. Certo sull’episodio si può anche scherzare, ma in realtà è possibile un commento più "politico" sulla vicenda. Premetto subito, a scanso di equivoci (anzi delle solite manipolazioni ad arte del nostro pensiero da parte dei soliti “prevenuti”), che nessuno pensa sia giusto percorrere un’autostrada in bicicletta. Sarebbe pura follia. Quel che mi accingo a rivendicare è l’esatto contrario: il diritto a poter percorrere strade alternative più sicure, confortevoli e, perché no, anche più belle. Il fatto è che da noi tutto è pensato in funzione dell’auto. Se vuoi andare da Padova a Monselice, e segui la segnaletica … ti trovi inevitabilmente instradato verso un’autostrada o una superstrada, ovviamente vietate alle bici. Nella migliore delle ipotesi a rischiare la vita su "statali" da panico. Così ovunque nel Belpaese. Il problema non è che l’autostrada è vietata ma il fatto che la segnaletica lì conduce, costringendo i ciclisti ad un “retrofront” (salvo appunto qualche "distratto", come nel caso in questione).
Mentre in molti Paesi si segnalano ai ciclisti le strade secondarie o alternative (a volte ciclabili, altre un mix di ciclabili, strade secondarie, brevi pezzi di congiunzione su strade più trafficate ma consentite).
Da noi invece, se un automobilista decide di “convertirsi” alla bici si trova subito in grande difficoltà. I cicloturisti italiani più esperti hanno imparato da tempo l’arte di arrangiarsi, sapendo bene di vivere in un Paese dove la bicicletta viene regolarmente ignorata e vilipesa (vedi ad es. lo zero partecipazione di Governo e Amministrazioni locali alla Conferenza Velocity di Vienna, dove l’Italia praticamente è stato l’unico Paese “sviluppato” d’Europa a non essere rappresentato, vedi le continue contestazioni degli “autodipendenti” della presenza dei ciclisti sulle strade. I ciclisti più esperti sanno ormai che non devono mai seguire la segnaletica ufficiale e si destreggiano tra mappe topografiche e, più recentemente, con le tracce per navigatori satellitari scambiate tra i ciclisti in rete. Si riscoprono strade alternative, poco frequentate, si stanano le poche ciclabili esistenti, le vecchie carrareccie, ecc. ecc. Non a caso i corsi FIAB sul cicloturismo “spopolano” e i siti che indicano percorsi alternativi altrettanto. Il "problema" (si fa per dire) è che i ciclisti stanno aumentando e, per quanto agguerrite, anche cento FIAB non potranno mai fronteggiare la necessità di istruire i ciclisti in quest' ”arte di arrangiarsi” per superare indenni le carenze “strutturali” (figlie di politiche della mobilità scellerate, totalmente succubi all’“autodipendenza”) Quindi il problema, prima di tutto, è “politico”, dobbiamo contestare questa situazione dove la segnaletica da indicazioni stradali solo per le auto e resta quindi un servizio a favore della mobilità di una sola parte dei cittadini, discriminandone altri. Il ciclista resta così un cittadino di serie B. Una piccola "provocazione". Questa situazione, a ben pensarci, non è leggermente incostituzionale L’art. 16 comma 1 della Costituzione recita “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.“
Allora, a mio parere, siamo di fronte ad una discriminazione anti-costituzionale di alcuni cittadini, che usano un mezzo piuttosto che un altro. Nessuna legge stabilisce che le biciclette non possano circolare e quindi muoversi liberamente in qualsiasi parte del territorio (e vorrei ben vedere), quindi se “per ragioni di sicurezza” ci impediscono giustamente di percorrere alcune autostrade e superstrade, dall’altra sarebbero tenuti per non violare la Costituzione a segnalarci le alternative, senza incanalare, come accade, anche il traffico ciclistico su percorsi che poi risultano “sbarrati”.
La bicicletta per molti di noi è una scelta, per alcuni l’unico mezzo di trasporto che possono permettersi. Allora, vi chiedo e mi chiedo, non è che noi ciclisti stiamo subendo una discriminazione in ragione del mezzo che usiamo?
Fonte: Fiab
di Stefano Gerosa