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Mercoledì, 31 Ottobre 2012 10:24

Alle sorgenti del Po

Descrizione del percorso

 

Provincia: Cuneo

Bici consigliata: bici da corsa, city bike

Difficoltà: difficile

Partenza: Paesana

Arrivo: Pian del Re

Km di percorrenza: 20,5 Km

Tipo di terreno: asfaltato

Periodo consigliato: da aprile a giugno; da settembre a ottobre.

Tappe del percorso e punti di interesse

Questo breve ma intenso itinerario vi porterà a raggiungere le sorgenti del fiume Po con spettacolari viste sulle Alpi Occidentali.

L'itinerario parte da Paesana, a 614 m, è una località incuneata fra il Monviso e il Montebracco. Paesana detiene il record di feste patronali: San Giuseppe, Santa Margherita, l'Assunta e san Bernardo. Interessantissima la testimonianza dell'antica presenza dell'uomo, costituita da un consistente gruppo di incisioni rupestri concentrate sul Bric Lombatera, nella zona di Pian Munè, a 1384 metri di quota. Le incisioni e la disposizione dei massi fanno pensare a un antico luogo di culto.

Da Paesana la strada sale dolcemente con poi una serie di pedalate più decise fino al bivio per Oncino. Superata la deviazione per Ostana si arriverà dopo alcuni tornanti impegnativi a Crissolo (1318 m). Un ripido tratto porterà al centro di questo piccolo paese dove sorge il Santuario di San Chiaffredo, si passerà poi tra le frazioni di Serre e Borgo. Da qui il tratto più difficile e impegnativo fino ai 1715 m di Pian Melzè, noto come Pian della Regina. Dopo una serie di diagonali si arriverà al Pian del Re a 2020 m dove vi sono le sorgenti del Po. Quest'area con una superficie di 465 ettari è stata dichiarata Riserva Naturale Speciale del Parco del Po Cuneese. Per la sua ricchezza di acque è presente una torbiera e alcuni rari anfibi tra cui la Salamandra nera di Lanza.

Il Pian del Re è stato per ben due volte, nel 1991 e 1992, l'arrivo del Giro d'Italia, dove vinsero Massimiliano Lelli e Marco Giovanetti.

Consulta la mappa

Fonte: piemonte ciclabile

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Mercoledì, 31 Ottobre 2012 10:00

Halloween in bicicletta, a Milano si puo'

Che ne dite di pedalare anche la notte di Halloween? Che siate travestiti da vampiri o sfoggiate un look meno appariscente, il 31 ottobre non dovrete fare a meno del bike-sharing.

 

Atm e Palazzo Marino hanno deciso di estendere l'operatività diBikeMi, che sarà dunque fruibile dalla mattina di mercoledì 31 ottobre alla mezzanotte di giovedì 1 novembre, senza interruzioni né costi per l'amministrazione comunale. Le bici gialle potranno essere inforcate per muoversi in città al prezzo consueto.

Con questa iniziativa si chiude la prima fase di BikeMi by Night, iniziata nel giugno scorso. La sperimentazione ha testato l'ampliamento del servizio di bike sharing di notte: i bikers urbani hanno potuto usufruire delle due ruote pubbliche 24 su 24 nei giorni di venerdì e sabato, mentre, da domenica a giovedì, il servizio era fruibile fino alle 2.

L'operazione è piaciuta, totalizzando 31.452 prelievi notturni, con un picco di 555 ritiri in occasione della Vogue Fashion Night Out. Visto il successo BikeMi by Night verrà riproposta dopo la pausa invernale. Data prevista per la ripartenza, il 21 marzo 2013.

Intanto, in città fervono i preparativi per festeggiare al meglio laNotte delle Streghe. 

Segnaliamo agli appassionati cinefili, le proiezioni del cult The Rocky Horror Picture Show in diverse sale cittadine. Il film, diventato una pietra miliare della storia del cinema, viene riproposto in versione restaurata nei giorni di martedì 30 emercoledì 31 ottobre. L'invito rivolto agli spettatori è di presentarsi in costume per vivere al meglio l'atmosfera horror dell'evento.

Queste le sale milanesi dove si può vedere il film: The Space Odeon (via Santa Radegonda 8); Uci Bicocca (viale Sarca 336); Uci Certosa (via Gentile 3); Apollo (galleria De Cristoforis 3);Arcobaleno Filmcenter (viale Tunisia 11); Ducale (piazza Napoli 27).

Per info www.nexodigital.it.

E per raggiungerle, si può usare la bicicletta.

Francesco Zaffarano

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Martedì, 30 Ottobre 2012 14:53

Bici mon amour. Ma le ciclabili?

di Alessandra Troncana

vocidibrescia.corriere.it - 30 ottobre 2012

In città ormai lo sanno tutti, la bicicletta è tornata in voga, fa molto eco chic, allena i glutei e se non la sfoggi sei démodè. Questione di tempo e, probabilmente, le dedicheranno una kermesse, un dessert, un concorso di poesia e, perché no, una rassegna di film d'antan. Tutto molto bello, molto di moda, molto sostenibile, certo, finché non frantumi le rotule o prendi una portiera dritta sul naso, oltre a insulti d'ogni sorta e poco importa se sei una donzella, i parcheggiatori abusivi non guardano in faccia nessuno. Già, perché qui non siamo in Olanda, il Paese delle ciclabili testarde, belle, autoritarie. Qui siamo a Brescia. Una città che ha piste come quella di via Montesuello, un mozzicone di asfalto sgangherato trafitto da buche, motorini, auto che si accavallano, si moltiplicano, s'allargano e ci mancavano pure i Suv. Non è un percorso per ciclisti. E' un parcheggio abusivo, una toilette per cani, un eterno cantiere, una trappola per tacchi. Se vuoi affrontarla devi dibblare buche, cartelli, mamme parcheggiate in attesa che i pargoli escano dal Calini, a volte pure i furgoni di Brescia Trasporti. Per carità, io vengo da un paese, Orzinuovi, in cui con la bici puoi fare il padrone della strada. Andavo in scioltezza contromano, la parcheggiavo dove più mi pareva senza lucchetto (e non me l'hanno mai rubata), sfrecciavo anche quando il semaforo era rosso, la guidavo senza mani . Insomma, ero una selvaggia.

Quando mi sono trasferita in città, ovviamente, il registro è cambiato. Anzitutto mi hanno fregato la mia bellissima bicicletta rosso fuoco (un catorcio bohemien), ovviamente munita di lucchetto, dopo nemmeno una settimana. Poi, quando ne ho comprata un'altra, bruttissima, in modo da inibire ogni furfante (tanto non funziona), con una catena che neanche Ercole, ho rischiato la vita svariate volte. Spesso per colpa mia (sono pur sempre una ragazza di provincia, adattarsi alla città non è facile), altrettante volte per colpa delle buche o di qualche pazzo automobilista. Quando è uscita la notizia che biciclettare contromano è legale, purché si tratti di una strada ampia e non si superi i 30 km all'ora (è già tanto se vado a 10), ho stappato la bottiglia e mi sono data alla pazza gioia, insultando gli automobilisti che si stizzivano nel vedermi sfrecciare in senso opposto a quello di marcia. Finché non ho scoperto che la norma, a Brescia, è ancora al vaglio. Nel frattempo, il vicensidaco Rolfi ha promesso una nuova ciclabile, la Sant'Eufemia – Arnaldo, ciclostazioni in metro, nuove postazioni di Bicimia (il bike sharing sì che è stata una bella idea). Sarà. Intanto, vedrò di ripassarmi un po' di codice della strada, del resto ho già smesso di bruciare i semafori (pare che a un tizio abbiano persino dato una multa in corso Zanardelli perché è passato con il rosso a notte fonda). E continuo a sperare in una città senza più ciclabili sgangherate sparse qua e là, ma con delle piste in stile Olanda. Très chic.

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Lombardia. Le piste ciclabili in Italia spesso sono realizzate male. Ad es. i cartelli in mezzo alle piste ciclabili, non a ridosso di incroci, sono sostanzialmente inutili anzi pericolosi per i ciclisti. L'associazione FIAB lodigiana è ripetutamente intervenuta per denunciare il fatto. I ciclisti intanto sbattono contro i cartelli, tanto quanto contro l'ottusità e la superficialità delle Amministrazioni.

 

Gentile Direttore, ci permetta di ritornare sul problema dei molti cartelli che interrompono i flussi dei ciclisti sulle piste ciclabili lodigiane.

Abbiamo infatti ricevuto la lettera con cui la Provincia di Lodi, nello specifico il Responsabile dell'U.O. strade Sergio Dossena e l'Assessore Nancy Capezzera, ci ha comunicato di non accogliere la nostra richiesta di eliminare tutti quei cartelli piazzati in mezzo alle piste e che, non essendo a ridosso di incroci con strade trafficate, sono sostanzialmente inutili anzi pericolosi per i ciclisti. Sulle questioni tecniche, sul perché riteniamo che sia preferibile, anche dal punto di vista della sicurezza generale del traffico, rimuovere i cartelli installati nel mezzo delle piste in corrispondenza di passi carrai e strade poco trafficate (e in qualche caso ancora accessi agricoli o fossati con acqua), risponderemo un'altra volta.

Vogliamo qui segnalare un passaggio della risposta ricevuta dalla Provincia, che da l'idea della superficialità con cui questa questione è affrontata: fra gli argomenti a sostegno della scelta di piazzare i cartelli in mezzo alle piste ciclopedonali lodigiane, si scrive: "la scelta operata ha causato, lungo tutta la rete ciclopedonale provinciale, pochi sporadici episodi di lieve collisione causati il più delle volte dalla scarsa attenzione del ciclista e dal mancato rispetto dei disposti contenuti nel Dlgsl 285/92 "Nuovo Codice della Strada" e applicati anche lungo tutto il percorso in parola".

La prima cosa che viene da chiedersi è cosa intendano Dossena e Capezzera per "pochi e sporadici episodi di lieve collisione". Un paio di incidenti senza fratture? Cinque incidenti con alcune fratture e altre collisioni? Dieci o cinquanta incidenti? Il buon senso farebbe pensare che intendano meno di cinque incidenti, per lo più di contusioni e al massimo una frattura non grave. In tutto, non ogni anno; altrimenti saremmo a una cinquantina di incidenti da quando è nata la rete ciclabile provinciale.

La seconda cosa che viene da chiedersi è come facciano a sapere quanti sono le persone che si sono fatte male sbattendo contro i cartelli delle ciclabili. Hanno fatto un sondaggio? Un'indagine presso i Pronto Soccorso e gli ospedali della Provincia? Si basano sulla rassegna stampa del Cittadino? E se un ciclista si fa male lontano da un giornalista e si cura a casa le ferite, non viene conteggiato? Deve quindi telefonare in Provincia per avvisare se si fa male?

L'impressione che abbiamo avuto leggendo quella frase è che in Provincia non ci sia un sistema di rilevamento degli incidenti, e che chi fa quelle affermazioni non sa di cosa sta parlando, non ha le informazioni necessarie. Il motivo per cui Ciclodi-FIAB da anni protesta per la pericolosità dei cartelli (proteste definite "innumerevoli e poco motivate segnalazioni degli anni passati" nella risposta) è che gli incidenti di ciclisti che sbattono contro i cartelli non sono stati pochi, neppure sporadici, ma tanti, una costante di ogni anno. Anche incidenti gravi, con fratture serie che hanno comportato operazioni.

Non sappiamo se la Provincia è a conoscenza che i cartelli della nuova pista ciclopedonale Lodi Boffalora, inaugurata pochi mesi fa, sono già stati battezzati, da una signora di Boffalora D'Adda, che è caduta e terra.

L'ultimo incidente serio sulle piste lodigiane è avvenuto domenica 14 ottobre, verso mezzogiorno nei pressi di Marmi Lodi (vedi foto). Non è stata una lieve collisione, ma un incidente serio con frattura. Chi è passato ha sentito le urla della persona a terra mentre si aspettava l'arrivo dell'ambulanza.

Colpa dei ciclisti disattenti? Certo, ma non solo. Quando si va in bicicletta è normale che ci si rilassi, a volte si sta a fianco e si chiacchiera, a volte ci si distrae un attimo, si accelera e ci si supera o a volte ci si ferma per aspettare altri: sono momenti di svago, anche a questo servono le ciclabili. È proprio per questo che nei paesi civili non si mettono quei cartelli così frequenti.

Il cartello dell'incidente di domenica si potrebbe tranquillamente rimuovere, predisponendo un attraversamento ciclabile, o almeno spostare a fianco della pista. Questa richiesta l'abbiamo già avanzata e la riproponiamo ancora una volta.

Però questa volta abbiamo una richiesta in più da fare alla Provincia: ci può dire quale è il numero di incidenti sopra il quale inizieranno a prendere provvedimenti? Quanti cartelli dovranno essere abbattuti o piegati a testate, spallate, o ginocchiate dai ciclisti, prima che si capisca che con poca spesa e un po' di buon senso si può risolvere il problema?

 

Cordiali saluti

Per il consiglio direttivo di Ciclodi-FIAB

La Presidente, Pina Spagnolello

Fonte: fiab onlus

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Toscana terra di ciclisti. Non è il solito luogo comune, legato soprattutto alla grande tradizione sportiva, in quanto a campioni sfornati e trionfi ottenuti. É il risultato che emerge dalla prima indagine condotta dalla Regione per analizzare i numeri di un fenomeno già consistente ma destinato, per vari motivi, ad esserlo ancora di più. La Regione, per sviluppare una rete toscana di mobilità ciclabile, mette a disposizione 9 milioni di euro per i prossimi tre anni.

 

"É arrivato il momento di fare un passo avanti – ha datto Ceccobao nel corso della conferenza stampa di presentazione dell'indagine - il classico salto di qualità. Negli ultimi anni ci sono state tante iniziative, progetti e realizzazioni. Attualmente in Toscana esistono oltre 300 km di piste ciclabili, 100 di percorsi cicloturistici, altri 50 di piste in corso di realizzazione e ulteriori 500 da realizzare in tempi brevi. Da poco la Regione ha approvato una legge per promuovere lo sviluppo di questo tipo di mobilità e per i prossimi tre anni sono stati inseriti in bilancio 9 milioni di euro a questo scopo. Bisogna insistere". Un dato importante, riferito al 2011, è il sorpasso delle bici sulle auto, in termini di vendite. "Aggiungiamoci anche che il 2013 sarà l'anno dei Mondiali di ciclismo – ha aggiunto l'assessore – ospitati per la prima volta in Toscana, che conta tra le altre cose circa 350 associazioni sportive ciclistiche. Insomma tutto questo impone un salto di qualità, che si traduca nella realizzazione di una rete regionale di mobilità ciclabile. Dobbiamo cercare di colmare una lacuna importante, la mancanza di interconessione e integrazione dei vari percorsi, in città e fuori. La prossima settimana saremo a Rapolano Terme ad un appuntamento nazionale, 'Idee Pedalabili', dove illustreremo la nostra idea di rete ciclabile toscana".

L'indagine La mobilità ciclabile in Toscana, è stata condotta su un campione di circa 5.000 cittadini toscani tra i 14 e i 70 anni, rappresentativo di un universo di circa 2 milioni e 700 mila persone.

Chi va in bici. Il 50% dei cittadini toscani in questa fascia di età va in bici (il 17% circa soltanto in città, il 15% fuori e il 18% sia in città che fuori), percentuale che cresce all'aumentare della dimensione dei centri abitati. I maschi, occupati e con elevato titolo di studio, sono coloro che utilizzano maggiormente la bici. Donne, giovani e ultrasessantenni lo fanno di più in città mentre fuori prevalgono gli uomini, nella fascia 14-60 anni.

In città. I ciclisti cittadini sono oltre un terzo del totale e usano la bici soprattutto per svago, nel tempo libero e per sport (il 53.2%). Il 38% pedala per recarsi nei luoghi di studio e lavoro o per accompagnare i figli a scuola. Nei comuni di grosse dimensioni sono soprattutto le donne a usare la bici come vero mezzo di trasporto (spostamenti occasionali e sistematici). In quelli medio-piccoli prevalgono i maschi che la utilizzano per motivi ludico-sportivi. 4 ciclisti cittadini su 10 ne fanno un uso assiduo, almeno 5 volte a settimana. Ostacoli maggiori all'utilizzo in città: traffico e assenza o inadeguatezza delle piste ciclabili. Il trend di utilizzo urbano è segnalato costante (55%) o in aumento (25%). Tra gli interventi indicati per aumentarne l'uso: aumento delle zone a traffico limitato, pedonali e dedicate alle bici.

Fuori città. Ci va un terzo esatto del totale, soprattutto per svago, gite fuori porta o allenamento. Anche se nella maggioranza dei casi l'utilizzo non urbano della bici è rimasto costante nell'ultimo anno, tra chi ha cambiato abitudine è prevalsa la tendenza a diminuirne l'uso, soprattutto tra i giovani. Seppur con un peso inferiore rispetto al ciclista urbano, gli ostacoli maggiori all'uso restano traffico e assenza o cattive condizioni delle piste ciclabili.

Niente bici. Riguardo alla metà del totale che non usa (o lo fa raramente) la bici, motivo principale per non farlo in città è considerarla un mezzo non adatto ai propri spostamenti. Percorsi disagevoli e mezzo faticoso le altre motivazioni. Circa due terzi dei non utilizzatori appare totalmente indisponibile all'uso della bicicletta, anche per il futuro, sia in ambito urbano che non urbano. Chi invece si dimostra più propenso chiede più piste ciclabili o corsie riservate.

Piste ciclabili. Soltanto meno di un terzo dei ciclisti toscani le usa almeno qualche volta e considerano come elementi più soddisfacenti la chiarezza della segnaletica e l'ampiezza. Riscuotono invece meno consensi comodità di ingresso e di uscita, illuminazione, sicurezza negli attraversamenti, lunghezza e capillarità sul territorio. L'aspetto più critico resta la continuità-interconnessione.

Sicurezza. Il 57% dei toscani giudica poco o per nulla sicuro l'utilizzo della bici, sia in città che fuori. In città la percentuale di chi la considera per nulla sicura è del 10%; si sale al 16% fuori città. Eccesso di traffico e assenza di piste ciclabili sono i fattori che influiscono maggiormente su queste risposte.

 

Fonte: luccaindiretta.it

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Venerdì, 19 Ottobre 2012 12:39

Biciclette: ecco le preferenze degli italiani

Qual è la bicicletta che piace agli italiani? C'è quella in vendita al centro commerciale, quella di fascia media, la elettrica entry level o quella più sofisticata, la cruise, la vintage, la performante in carbonio per gli sportivi, ma anche quella hi-tech da sfoggiare la domenica con gli amici, sulle strade di mezza Italia. Per questo ci siamo chiesti: ma gli italiani, mediamente, che gusti hanno, quale tipologia di bicicletta preferiscono, quali modelli scelgono nell'anno in cui per unità vendute, la bicicletta supera l'automobile?

 

A preferla bici in città sono le donne, almeno a quanto risulta da una indagine effettuata da una nota marca di tè freddo su un campione di 1000 intervistati tra i 18 ed i 65 anni (fonte: affaritaliani.it). Il 47% delle donne infatti, a differenza del 37% degli uomini, non ama periferie e campagna, quindi si orienta sull'acquisto di un modello da passeggio o una mountain bike leggera e maneggevole.

L'uomo, si evince dalla stessa indagine, predilige l'aspetto sportivo del pedalare e quindi si orienta più spesso su modelli performanti, sia per uso stradale che per terreni sconnessi. La sua scelta va perciò su bici da strada o fuoristrada, ma dai buoni contenuti tecnici.

Altri fattori importanti che condizionano il ciclista nella scelta della sua bicicletta sono riferibili alla sua percezione di benessere e sicurezza. Oltre il 40%, siano essi uomini o donne, è convinto che la pedalata aiuti il benessere interiore e allontani dalla vita sedentaria.

Resta un elevato timore da parte degli utenti (39%) verso il comportamento delle auto. Ciò induce l'acquirente ad orientarsi verso l'acquisto di accessori di sicurezza, come giubbini catarifrangenti, caschi, luci di segnalazione applicabili sulla propria bicicletta, di qualunque genere o modello si tratti. Parliamo di un target che usa la bici in modo più frequente e che ultimamente si rivolge anche all'integrazione tra mezzo pubblico e bici. Sono spesso possessori di due ruote pieghevoli che ridotte all'ingombro di una borsa consentono di essere portate con sé ovunque. Treno, bus, metropolitana + bici diventano quindi un'occasione conveniente, ecologica e pratica per muoversi.

Non possiamo trascurare i due veri fenomeni del momento, la bici vintage e la bici elettrica. La prima, frutto di passione, lavoro di restauro ed attenzioni maniacali è oggi in grande voga tra i giovani, gli studenti, ma anche tra gli appassionati senza età, tanto che alcuni artigiani propongono sul mercato esclusivamente questo tipo di veicoli a due ruote.

Quanto alla bicicletta elettrica, preferita certamente dalle donne che si dimostrano più ecologiste degli uomini, comincia ad essere un vero boom di costume. Averne una non vuol dire più solo risparmiare sui trasporti e pensare alla salute, ma anche farsi osservare in sella al proprio modello ultimo grido. Da non confondersi però con il grido interiore di stupore che ci può cogliere quando guardiamo il cartellino dei prezzi. Una bici elettrica affidabile, sicura e solida parte infatti dai mille euro.

Quel che conta, al di là delle scelte personali di ognuno di noi, è che per un numero sempre crescente di italiani sia sempre più tempo di bici. Su versioni, modelli e colori, c'è davvero l'imbarazzo della scelta.

(Vincenzo Nizza - ecoseven.net)

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Gli Stati Generali della Bicicletta e della Mobilità Nuova di Reggio Emilia si sono conclusi.

 

Sono stati un successo di partecipazione al di là di qualunque ragionevole aspettativa: sono state oltre 1.000 le persone iscritte ai lavori, in qualità di privati cittadini, membri di associazioni, tecnici, ma soprattutto di amministratori e politici desiderosi di gettare le basi per l'Italia di domani.

Dopo due giorni (e notti) di lavori pressoché ininterrotti, i cinque gruppi di lavoro hanno dato vita ad un documento snello ma carico di contenuti che contiene le linee guida per rendere nostre città più vivibili partendo da interventi mirati sulla mobilità: è il Libro Rosso della Ciclabilità e della Mobilità Nuova.

Affinché questo lavoro non rimanga lettera morta occorre, non solo che venga letto da sindaci e assessori di tutti i comuni italiani, ma che sia anche applicato. Gli Stati Generali hanno dimostrato che gli amministratori locali non vedono più la mobilità nuova come una questione accessoria, ma come un segmento di azione strategica per lo sviluppo delle città, però sappiamo bene che chi amministra le città tende a scegliere e a operare sulla base del consenso.

Il nostro compito in questa fase deve essere quello di creare il consenso necessario affinché le nostre amministrazioni si attivino, distribuendo pacche sulle spalle ogni volta che faranno qualche cosa di buono e criticando duramente ogni volta in cui si lasceranno ispirare dalla paura di cambiare.

Ci auguriamo fortemente che questo venga presentato in occasione della prossima assise dell'ANCI che si terrà a Bologna dal 17 al 20 ottobre e che riunirà 3.000 delegati dei comuni di tutta Italia.

Cogliamo l'occasione per ringraziare sentitamente tutti i partecipanti, Legambiente, FIAB, ANCI, il Comune di Reggio Emilia e tutte le testate giornalistiche che hanno portato in evidenza l'evento dimostrando che la ciclabilità e le forme nuove di mobilità non sono più tematiche marginali.

Facciamo cambiare strada all'Italia.

n.b. evitate inutili speculazioni fin troppo facili in Italia: il libro è rosso perché rosso è il colore del sangue lasciato sulle nostre strade, dell'allarme e dell'emergenza, della passione che vi è stata profusa, di una spia che si accende per testimoniare lo stato di arretratezza e la necessità di intervento immediato.

Fonte: #salvaciclisti

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Come ci si deve comportare di fronte a una pista ciclabile mal progettata? Quando si ha diritto a un risarcimento? Perché i mezzi del bike-sharing sono considerati privati?

In Italia la bici è ancora "velocipede", di nome e di fatto, e "servono norme nuove per incentivarne l'uso, equiparandola ai mezzi pubblici". Con Eugenio Galli, responsabile legale di Fiab, Federazione italiana amici della bicicletta, abbiamo cercato di fare luce su un tema confuso, anche a seguito di discutibili sentenze della Cassazione e premi assicurativi da capogiro.

 

Iniziamo dalla sentenza della Cassazione che non ha riconosciuto a una ciclista il diritto di essere risarcita dall'Inail per un infortunio nel tragitto casa-lavoro.

Si tratta in realtà di una non-notizia, perché sia per le auto che per le bici vale lo stesso principio: non c'è infortunio in itinere se un mezzo pubblico efficiente e utile copre lo stesso tragitto. L'infortunio con mezzo privato (auto, moto o bici, anche se è fornita dal servizio bike-sharing) è riconosciuto dall'Inail solo se l'uso è "necessitato". Ovvero se il lavoratore non può scegliere di prendere un mezzo pubblico perché non è previsto per quella tratta, ha orari incompatibili con gli orari di lavoro, è carente (molto lento o discontinuo).

Perché il bike-sharing è considerato mezzo privato?

Perché – benché non lo sia tecnicamente, essendo proprietà pubblica - il Ministero del lavoro ha ribadito che il mezzo è pubblico solo quando il conducente è diverso dal trasportato, e la proprietà non conta. Da sottolineare anche il fatto che ovviamente non si ha diritto a nessun indennizzo se il ciclista è caduto o ha avuto danni per un comportamento colpevole o per manovre contrarie al codice della strada. In definitiva, il caso di quella ciclista che non è stata risarcita non deve fare scandalo perché sarebbe successo lo stesso – e spesso succede – anche se fosse stata al volante di un'auto.

Altra regola importante: possiamo sperare in un risarcimento solo se stiamo viaggiando su una pista ciclabile, laddove esista. Se preferiamo la strada perdiamo tale diritto.

Giusto. L'Inail ha interpretato così la norma con una circolare di qualche mese fa. Il mezzo privato deve essere "necessitato" e deve circolare solo all'interno di piste ciclabili, laddove presenti. Nella realtà è una scelta ipocrita, perché sappiamo che spesso le piste non sono sicure.

Pensate di fare ricorso?

No, la risposta dell'Inail è ipocrita ma non possiamo ricorrere perché è coerente con il dettato legislativo. La nostra proposta è integrare la legge con una norma che riconosca sempre l'infortunio in bici. Noi vorremmo che il principio di favore, che è accordato al mezzo pubblico, venga esteso alla bici. Punto. Ma deve farlo la legge.

E se la pista ciclabile è mal progettata o pericolosa, con buche e auto parcheggiate, siamo comunque obbligati a percorrerla per sperare in un risarcimento in caso di infortunio?

Sì, e solo in secondo momento si può affrontare il tema della responsabilità.

Ovvero: se vogliamo l'indennizzo dobbiamo stare sulla pista ciclabile, se poi questa ci ha causato danni o cadute, si apre un altro capitolo e il ciclista potrà avvalersene con l'amministrazione.

Considerando le piste ciclabili italiane, è possibile stabilire una vaga percentuale di quelle sicure?

Sono dati impossibili da conoscere. Anche perché quando si cercano a livello locale è il Comune a fornirli, e quindi non sono verificabili. Dei 137 km ufficialmente presenti a Milano ad esempio, il doppio senso in una strada è considerato due volte? Non si sa. Larga parte delle piste è fuori norma, ma non ne abbiamo neppure una vaga idea. Consideri che spesso i Comuni non collaborano con noi e non forniscono neppure i dati ufficiali.

Ci dia qualche regola generale per il ciclista...

Quando parliamo di bici su strada, non di competizioni, questa è considerata un veicolo ed è governata dal Codice della Strada: bisogna tenere la destra, dare la precedenza, fermarsi a stop e semaforo e via dicendo. Ci sono alcune regole speciali per i ciclisti, che ad esempio in attraversamento delle ciclabili hanno la precedenza.

Quali diritti hanno i ciclisti nelle zone pedonali?

La questione è molto discussa. Al momento nelle zone pedonali la bici può circolare a meno che non sia specificamente vietato. Il fatto che in genere sia accessibile ai ciclisti comunque, non toglie il dovere di mantenersi responsabili. È considerata manovra imprudente ad esempio pedalare in una strada pedonale a 30 km/h se in quel momento è affollata: in quei casi il codice della strada prevede addirittura che sia condotta a mano. Spesso non c'è segnaletica a terra per le bici, come in via Sarpi a Milano. C'è chi sostiene che una corsia per i ciclisti ne limiterebbe la libertà e chi invece sostiene che favorirebbe la sicurezza dei pedoni, aumentano allo stesso tempo la disinvoltura del mezzo, che avrebbe un suo spazio dedicato: limitato, ma tutto suo. Insomma la questione resta aperta.

Cosa vorrebbe vedere in Italia che ancora non esiste?

Mancano regole ormai presenti in tutto il resto d'Europa. Le zone di arresto ad esempio, quella linea di stop avanzata, che a ogni semaforo permette ai ciclisti di stare davanti a tutti gli altri. C'è un corridoio laterale sulla destra, che consente di superare le macchine in fila e attendere il verde al riparo da tubi scappamento, di massimizzare la propria visibilità, di partire per primi e dunque svolgere in sicurezza manovre come la svolta a sinistra. In Italia le stesse ciclabili sono pensate come infrastrutture separate, e si pensa che una striscia lungo la carreggiate – laddove non ci sia possibilità di utilizzare un ampio marciapiede o creare una pista ad hoc - non sia sicura. Questo eccesso di protezione nei confronti del ciclista di fatto lo discrimina, anche perché non esiste una protezione sicura. Serve piuttosto regolare e moderare il traffico, di cui le bici devono poter far parte a pieno titolo.Vorrei il doppio senso per le bici nelle strade a senso unico: non esiste in Italia, ma in tutta Europa sì. È efficace, migliora la sicurezza stradale grazie alla reciproca visibilità e a una segnaletica dedicata. Vorrei regole pensate per le bici e non derivate da un Codice nato e cresciuto pensando alle auto, in cui la bici ancora è definita "velocipede". Vorrei coordinamento tra i piani locali di sviluppo delle ciclabili, in modo da garantire continuità da un Comune all'altro. È una lotta impari. Il movimento #Salvaiciclisti ha rivitalizzato il tema, ma il governo cosa ha fatto per considerare la questione? A parte le dichiarazioni di principio a nostro favore, ad esempio da parte della ministra Cancellieri, non ci sono poi mai dati di fatto. Ed è così da sempre. In venti anni di attività ho visto pochi cambiamenti.

Si può fare qualcosa contro il dominio assoluto delle auto? Ad esempio contro il parcheggio selvaggio sulle aiuole, che a Milano è più che tollerato dai vigili?

Milano ha un numero di auto che è due/tre volte superiore a quelle che circolano nelle altre capitali europee. È perfettamente inserita nella media italiana di 60-80 auto ogni 100 abitanti, nonostante sia una metropoli, e vanti mezzi pubblici senz'altro migliori che nelle altre città. Nelle altre capitali europee siamo a 20-40 auto ogni 100 abitanti. Per scoraggiarne l'uso abbiamo un tavolo permanente con le amministrazioni e abbiamo chiesto aggiornamenti costanti sulle contravvenzioni, che a Milano stanno aumentando moltissimo. Mi riferisco anche ai casi di sosta in seconda fila, sosta sulle ciclabili, sosta sotto gli alberi dei viali.

Arriviamo al caso del vicedirettore generale della Rai, Gianfranco Comanducci, caduto dalla bici e ricompensato dalla sua assicurazione privata con 500mila euro, per aver riportato un'invalidità permanente (contestata dalla stampa perché Comanducci starebbe continuando a correre in bici, ma questa è un'altra storia). Per noi ciclisti mortali, può convenire stipulare un'assicurazione privata?

Certamente. Non costa tanto, con circa 100-200 euro all'anno si ottiene già una buona assicurazione per gli infortuni. Per quanto riguarda invece la responsabilità civile, cioè coprire un eventuale danno che potremmo causare a terzi viaggiando in bici, i nostri associati sono coperti 24 ore su 24 con la sola quota associativa (30 euro a Milano, da gennaio a dicembre, ma ogni città ha sue quote).

 

Fonte: life.wired.it

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I lavori sono già in corso. Il primo tratto della Ciclovia dell'acquedotto pugliese da Locorotondo a Ceglie Messapica, un pregevole tratto di interesse cicloturistico nel cuore della Valle d'Itria, sarà completato entro un anno.

 

"Nel 2011 – evidenzia Minervini - per la prima volta nel nostro paese si sono vendute più biciclette che auto. Le due ruote si candidano a essere il simbolo dello stile di vita responsabile che sta maturando in questo tempo di crisi. In questo senso noi abbiamo deciso, dal punto di vista delle politiche pubbliche, di investire con convinzione nelle potenzialità della mobilità sostenibile".

Al termine dei lavori, finanziati dalla regione con 1,8 milioni di euro, la strada di servizio dell'AQP lungo il canale principale sarà ciclabile e sicura.

"Lungo gli 11 km del percorso – spiega Minervini - saranno aperti gli accessi (attualmente vietati), rifatta la pavimentazione, realizzate aree di sosta e segnaletica. Il nostro intervento è strategico per il potenziale che le ciclovie possono esprimere sul fronte del turismo sostenibile e dello sviluppo economico di attività collegate, come i servizi connessi al cicloturismo ed escursionismo (guide, accompagnatori, ciclofficine). Servizi che possono generare una nuova economia che si muove nel pieno rispetto e tutela del paesaggio e del territorio".

Non ci sarà cemento o interventi pesanti. Verrà effettuata la sistemazione degli accessi laterali alla ciclovia e il rifacimento dei muretti a secco. La pavimentazione del percorso ciclabile per una larghezza di circa 2.50 – 3 m sarà di due tipologie a seconda dei tratti: in misto stabilizzato con leganti naturali per le parti sub pianeggianti, conglomerato ecologico, per i tratti con maggiori pendenze. L'intervento permetterà la messa in sicurezza dei parapetti dei ponti canale che rappresentano la parte più suggestiva, e attualmente pericolosa, degli itinerari per la possibilità di viste panoramiche sul paesaggio della valle d'Itria. Ci sarà la messa in sicurezza degli attraversamenti stradali e dei tratti in rilevato; la realizzazione di aree di sosta e cartellonistica informativa e sarà attivato un sistema di webcam e conteggio elettronico dei flussi di bici da collegare ai siti web.

Questo primo intervento rappresenta il primo stralcio del grande sistema della ciclovia dell'Acquedotto Pugliese da Venosa a Grottaglie (TA) di oltre 250 Km di lunghezza individuato nell'ambito del progetto CYRONMED e rientra nella variante pugliese del percorso nazionale n. 11 "Ciclovia degli Appennini" della rete BICITALIA. Lo stesso sistema cartografico nazionale di riferimento della Fiab che in Puglia, grazie al contributo della Regione, ha già tracciato la Ciclovia dell'Adriatico, da Chieuti a Leuca, e quella dei Borboni, da Bari a Napoli, su strade secondarie e a bassa incidenza di traffico.

Fonte: Regione Puglia

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Il taglio del nastro per la nuova pista ciclabile che collega la Valcuvia a Ferrera di Varese nelle Valli del Verbano è stato effettuato il 22 settembre scorso. Una pista che al momento arriva al centro storico del paese, vicino alla piazzetta dell'asilo e del sagrato della chiesa.

 

Un tracciato che non ha "nulla da invidiare alle piste ciclabili delle zone turistiche per eccellenza" ha commentato Marco Magrini, Presidente della Comunità Montana. Un percorso suggestivo che in prossimità della vecchia filanda si divide a fondovalle: un primo tracciato – da cui si può ammirare la Valcuvia, la Valtravaglia e i monti Pian Nave e San Martino – che passa quasi sopra le famose cascate di Ferrera, attraversa con un ponticello il torrente incontrando alcune aree verdi tra le insenature del corso d'acqua; un altro tratto – che sarà terminato a breve – congiunge la nuova pista con quella che attraversa la Valganna e la Valmarchirolo fino a Ponte Tresa, permettendo di arrivare in Canton Ticino su un percorso sicuro, protetto e nel verde.

La Regione Lombardia con diverse linee di finanziamento ha coperto interamente gli investimenti per la realizzazione dei due lotti di intervento, con un costo complessivo di poco più di 800 mila euro.

«Questo tratto di pista ciclabile è spettacolare» ha concluso Marco Magrini «anche se ovviamente di parte credo sia un giudizio assolutamente oggettivo. La rete di piste ciclabili in Provincia di Varese inizia a diventare estesa e ben collegata a stazioni ferroviarie e punti di interscambio. Oltre a migliorare la qualità della vita dei cittadini, le ciclabili possono essere uno stimolo per il rilancio del turismo nell'alto Varesotto».

Fonte: Varesenews

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