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L'arte del viaggiare lento. A spasso per l'Italia senz'auto
Autore: Paolo Merlini
Prezzo: € 14,50
Pagine: 176
Editore: Ediciclo

 

Viaggio lento si sa, è sinonimo di viaggio virtuoso. Sfortunatamente però, il viaggio lento è associato, nell'immaginario collettivo, anche al viaggio faticoso. Come fa a concedersi il lusso della lentezza chi non ha dimestichezza col cicloturismo oppure chi suda al solo pronunciare le parole "a piedi"? Un'idea semplice e "rivoluzionaria" è quella di viaggiare utilizzando i trasporti pubblici locali. Paolo Merlini da anni pratica e racconta questo "uso improprio" dei servizi di mobilità pubblica ed è convinto che costituiscano il giusto equilibrio tra lentezza e comodità. Ha infatti avuto modo di saggiare il servizio delle autolinee locali e constatando l'eccellenza di molte aziende di trasporto pubblico e l'affidabilità degli autisti, spesso molto disponibili e fonti inesauribili di informazioni sul territorio.
Ogni giorno migliaia di autobus tessono una capillare rete di linee extraurbane che penetrano nel profondo della provincia italiana solcando, a velocità moderata, le belle strade della Penisola archetipo (ammodernato) della viabilità nazionale. Basta scegliere una meta e informarsi sugli orari delle autolinee che servono la zona.
Con biglietti di pochi euro, comodamente seduti a quasi due metri di altezza, si può godere del lungometraggio della "Bella Italia" che scorre lento fuori dal finestrino. Con i bus di linea si attraversa un territorio in maniera economica, ecologica, virtuosa e il più possibile rispettosa degli abitanti che poi sono anche gli occasionali compagni di viaggio sempre prodighi di suggerimenti. È una forma di viaggio che si può praticare dai dodici ai novant'anni senza essere accompagnati dai genitori.

http://www.ediciclo.it

Venerdì, 10 Febbraio 2012 09:04

Circuito degli Italici

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Perugia – E’ cresciuto del 30% rispetto

al 2011 il numero degli abbonati al Circuito degli Italici. Un aumento che soddisfa il Consiglio direttivo del circuito, in quanto dimostra sia la bontà del lavoro fin qui svolto sia che il circuito 2012 piace. Il 29 febbraio sarà il termine ultimo per abbonarsi a questo lungo viaggio che porterà alla scoperta di alcune delle più belle località di Marche, Umbria, Toscana e Lazio. Otto prove più una gara jolly. Manifestazioni di alto livello, che stanno lavorando per offrire ai partecipanti eventi di grande qualità. Premiazioni ancora più ricche del 2011 per le società partecipanti con buoni benzina, schede telefoniche, materiale tecnico e molto altro.
Ad aprire le danze sarà domenica 11 marzo a Montefalco (Pg) la sesta La Sagrantino, che, organizzata dalla Ciclo Eventi, intende valorizzare un territorio ricco di bellezze storico-artistiche, paesaggistiche ed enogastronomiche. Montefalco, Bevagna, Gualdo Cattaneo, Massa Martana, Giano dell’Umbria, Castel Ritaldi, Campello sul Clitunno e Trevi sono gli otto comuni attivamente coinvolti nella manifestazione. Due i percorsi previsti: la granfondo di 135 chilometri (partenza alle 9,30) e la mediofondo di 96 chilometri (partenza alle 9). La Sagrantino lancia quest’anno la SagraLonga: partenza libera dalle 7,30 alle 8,30 con possibilità di affrontare “senza fretta” sia il lungo sia il medio, oltre a un percorso corto di 60 chilometri. Per chi sceglierà la SagraLonga ci saranno un’abbondante colazione prima della partenza e ricchi ristori a base di prodotti tipici umbri lungo i percorsi. La granfondo di 135 chilometri presenta 2.300 metri di dislivello, 400 metri in più rispetto all’ultima edizione. L’arrivo sarà posto sempre in piazza, ma scalando il Colle di Montefalco dalla parte di San Clemente. Oltre al Circuito degli Italici, la manifestazione fa parte del Prestigio di Cicloturismo, del Circuito Interforze, del Circuito Dalzero.it, del circuito Umbria Green Cycle, della Challenge umbro-marchigiana, della Gran Combinata della Rivista Ciclismo, del Giro d’Italia Uisp e del Campionato regionale Granfondo e Mediofondo Fci. Per tutti i partecipanti oltre al pacco gara, composto da prodotti tipici locali e da materiale tecnico, ci sarà un gadget unico e di grande valore: una bottiglia magnum da un litro e mezzo di vino, numerata. Diverse, poi, le iniziative in programma: l’Umbria Gustus (grande villaggio espositivo di prodotti locali) e visite a musei, cantine e frantoi del territorio. E poi il pasta party (gratuito per gli atleti e a 5 euro per gli accompagnatori), nuovo e ancora più gustoso, dove grande protagonista sarà la cucina umbra con le sue ricette e i suoi sapori tradizionali. Questo il menù: assaggio di lenticchie alla norcina, mezzemaniche al sugo di carne, porchetta di Cariani, panzanella alla maniera umbra e frutta. Tutte le informazioni su www.granfondosagrantino.com.

Mercoledì 25 aprile appuntamento con la gara jolly del circuito, che si terrà in Toscana, nel Senese. Si tratta della Granfondo Città di Chianciano Terme, edizione numero 11, che quest’anno entra nel Trofeo Terre di Siena e diventa 1° Trofeo Advanced. Due i percorsi disegnati dal Gs Chianciano Terme: uno di 148,9 chilometri e uno di 103 chilometri. Dopo essere partiti alle 9,40, i corridori toccheranno località importanti e ricche di storia e tradizione come Montepulciano, nota tra le altre cose per i suoi vini, Pienza, la città di papa Pio II, Castelmuzio, piccolo agglomerato di abitazioni situate sul dorso di una collina tufacea, e il borgo medioevale di Trequanda. Sarà poi la volta di San Giovanni d’Asso, città dell’olio e del tartufo, del borgo di Torrenieri, che si sviluppa lungo la Via Francigena, del Borgo di San Quirico d’Orcia, che tra i suoi gioielli annovera gli Horti Leonini, alto esempio di giardino all’italiana del Cinquecento. Dopo la frazione di Gallina, i corridori toccheranno Radicofani, di cui nel XIII secolo fu signore Ghino di Tacco, di cui parla Dante nel Purgatorio. Toccata la frazione di Celle sul Rigo, sarà la volta di Cetona, che tra le altre cose ospita il museo civico per la Preistoria del Monte Cetona. Questo, dunque, il meraviglioso territorio che potranno scoprire i partecipanti alla Granfondo Città di Chianciano Terme, che avrà come palcoscenico di arrivo e partenza la famosa città termale toscana. I ciclisti e gli accompagnatori potranno visitare i centri termali di Acqua Santa e Parco Fucoli, lo stabilimento del Sillene e le Terme di Sant’Elena. Particolarmente suggestivi gli itinerari enogastronomici (Vino Nobile di Montepulciano, i percorsi del Chianti, del Brunello di Montalcino e dei prodotti della Val d’Orcia), il Museo delle Acque di Chianciano Terme e il Parco della Salute. «Per quanto riguarda il tipo di gara - sottolinea Antonio Falcone del Comitato organizzatore -, ci teniamo a sottolineare che si tratta di una competizione, come del resto l’intero Circuito degli Italici, riservata al ciclismo amatoriale e quindi ben lontana da interessi economici e commerciali che troppo spesso inquinano gli ambienti sportivi. E se da un lato questo ne rappresenta una forza “etica” di alto livello educativo e promozionale per uno sport che nasce con forti valenze popolari, dall’altro è innegabile che sia danneggiato da una conseguente mancanza di fondi che, ogni anno, costringe ad incredibili sforzi tutta la macchina organizzativa. In altre parole, se l’evento è riuscito ad arrivare alla sua XI edizione, questo è dovuto quasi unicamente all’azione caparbia di volontari e appassionati, che però si stanno trovando a lottare con problemi economici praticamente insormontabili». Tutte le informazioni su www.chianciano.com/granfondo/.

Martedì 1 maggio si torna in Umbria con la 3^ Granfondo Le Strade di San Francesco, organizzata a Ponte San Giovanni di Perugia dal Team Bike Ponte. La manifestazione fa parte anche dell’Umbria Green Cycle, del Campionato regionale Granfondo e Mediofondo Fci e della Challenge umbro-marchigiana. Ospite d’onore sarà Francesco Moser. Due i percorsi: il corto di 94 chilometri (partenza alle 9) e il lungo di 138 chilometri (partenza alle 9,10). Anche la manifestazione ponteggiana prevede la partenza libera (FrancyLonga) dalle 7,30 alle 8,30 per entrambi i percorsi. Nel corso della manifestazione i partecipanti attraverseranno i territori dei comuni di Perugia, Gubbio, Bastia Umbra, Assisi, Cannara, Bettona e Torgiano. Il Team Bike Ponte sta intanto studiando premiazioni ancora più ricche per le società. Venendo alla prova regina, una volta partiti da Ponte San Giovanni i partecipanti giungeranno al chilometro 0 posto nella zona industriale di Molinaccio. A questo punto pedaleranno fino a San Martino in Campo per tornare al chilometro 0 e da lì indirizzare le proprie pedalate verso Ponte Valleceppi e poi Colombella e Farneto, nota per aver dato i natali ad Ascanio Arcangeli, detto il Roscio del Piccione, che si allenava in bici, appesantendosi con dei mattoni, proprio lungo la salita che sarà affrontata dai partecipanti: 9 chilometri intervallati da falsipiani, con pendenze fino al 13%. Una volta scollinato ci si dirigerà verso Bellugello e Fratticiola Selvatica, dove saranno posti il gpm e il primo rifornimento. Quindi giù in discesa e poi svolta a sinistra in direzione Ripa, poi si gira a sinistra verso Pianello e al successivo incrocio svolta a destra verso Torchiagina. Superato questo abitato, i partecipanti toccheranno la zona industriale di Petrignano di Assisi, paese di Salvatore Puccio, professionista con il Team Sky. A questo punto gli atleti toccheranno Ospedalicchio, Bastia Umbra e Cannara, poi attaccheranno la salita di Collemancio (7,5 chilometro, pendenza media 12%) e quindi si dirigeranno a Bettona prima e a Torgiano poi. A questo punto si tornerà a San Martino in Campo e quindi al traguardo di Ponte San Giovanni. Il percorso corto differisce dal lungo per l’assenza della salita del Piccione e di quella di Fratticiola Selvatica. Tutte le informazioni su www.teambikeponte.it.

Domenica 13 maggio l’antica città ducale di Camerino (Mc) sarà protagonista della Granfondo Terre dei Varano, gara che, organizzata dall’Avis Frecce Azzurre, ha come testimonial Michele Scarponi. Due i percorsi di questa gara, valida anche come prova del Marche Marathon e della Challenge umbro-marchigiana: il lungo di 134 chilometri e il corto di 84. Partenza ufficiale alle 8,30, mentre dalle 7 alle 8 è prevista, per gli amanti del pedalare in libertà, la partenza alla francese. Vietate ammiraglie e ogni altro veicolo o motociclo non appartenente all’organizzazione all’interno del gruppo. Quest’anno i percorsi della Terre dei Varano saranno interessati, il venerdì e il sabato precedenti all’evento camerte, dal passaggio della sesta e della settima tappa del Giro d’Italia. Mentre i tratti di sterrato del gpm Pitino Madonnella, percorsi il venerdì, si trovano a circa 20 chilometri da Camerino, il percorso di sabato toccherà anche Sarnano e quindi un tratto che il giorno seguente i partecipanti della Terre dei Varano percorreranno prima dell’attacco alla salita di Sassotetto. Folta, anche in questo 2012, sarà la presenza di stranieri, provenienti anche dagli Stati Uniti. «Rimangono invariati - sottolinea Sandro Santacchi, presidente dell’Avis Frecce Azzurre - tutti gli aspetti fondamentali che hanno sancito il successo delle scorse edizioni: location, programma, logistica e percorsi, tranne una modifica, per ragioni di sicurezza, sul percorso lungo, dove è stata sostituita l’ultima discesa da Cicconi su Pievebovigliana, che presentava il manto stradale deteriorato. Per offrire un soggiorno gradevole, il Comitato organizzatore ha ampliato l’offerta di strutture alberghiere e organizzato nuovi pacchetti gara+hotel, con particolare attenzione alle famiglie oltre che agli atleti, che verranno schierati nella prima griglia dopo quella di merito. Abbiamo anche pensato di mettere in vendita per beneficenza 20 pettorali di prima griglia, i cui proventi saranno donati agli amici della Corsa per Haiti. Inoltre, i bambini potranno divertirsi partecipando il sabato alla granfondina, mentre le mamme visiteranno gratuitamente, accompagnate dalle nostre guide, i musei e i monumenti della città, che nell’imminenza della Corsa alla Spada si presenterà immersa in un’atmosfera medioevale di altri tempi. I ristori saranno come sempre con piede a terra. Ultima novità del 2012 sarà quella di poter rivedere il video personalizzato del proprio passaggio sul gpm di Sassotetto e sul traguardo». Info su www.terredeivarano.it.

Domenica 27 maggio appuntamento a Sansepolcro (Ar) con la Maratona degli Appennini - terza Granfondo Città di Sansepolcro, organizzata dalla Ciclistica Sansepolcro. Tre i percorsi: il lungo di 153,2 chilometri, il medio di 105,3 chilometri e il corto di 46,3 chilometri. Partenza alle 8,30. La parte iniziale sarà la stessa per tutti e tre i percorsi. Partiti dalla Toscana come gli agonisti, dopo cinque chilometri i cicloturisti entreranno in Umbria per affrontare l’unica asperità di giornata: quella di Citerna, antico borgo medioevale situato nel punto più alto di una splendida collina appenninica. Toccheranno quindi Anghiari, affacciata sulla Valtiberina, per poi proseguire verso Sansepolcro. Qui finirà il cicloturistico. I mediofondisti e i granfondisti, invece, affronteranno la lunga salita (media difficoltà) che porta fino al valico di Viamaggio, posto a circa 1000 metri sul livello del mare. Si scenderà quindi verso Pieve Santo Stefano, città del famoso Diario e patria di Amintore Fanfani. Qui i due percorsi si dividono: i mediofondisti, dopo un panoramico saliscendi che costeggia il Lago di Montedoglio, arriveranno a Sansepolcro, mentre i granfondisti, dopo la cittadina di Pieve Santo Stefano, inizieranno subito la salita di circa 13 chilometri (media difficoltà), che li porterà a circa 1000 metri sul livello del mare, e poi attraverseranno il comune di Chiusi della Verna, sede del famoso santuario. Da qui inizierà una discesa lunga e impegnativa, che porta al borgo di Caprese Michelangelo, dove nacque Michelangelo Buonarroti. Seguiranno ora una serie di saliscendi che costeggiano dalla parte est l’invaso di Montedoglio. A questo punto si tornerà nella stessa strada percorsa dalla mediofondo e si rientrerà dopo circa 155 chilometri e 2900 metri di dislivello a San Sepolcro, patria di Piero Della Francesca. Un paesaggio unico e un percorso storico, artistico e culturale di grandissimo interesse, dunque, quello offerto a tutti i partecipanti. La manifestazione sarà anche prova del Circuito del Cuore e del Circuito Interforze. La manifestazione sarà presentata sabato 18 febbraio alle 10,30 al Comune di Sansepolcro. Info su www.maratonadegliappennini.it.


Il 10 giugno si va nel Lazio per la settima Granfondo delle Cerase - Moser, che quest’anno punta a superare i 1000 iscritti grazie anche all’appartenenza, oltre al Circuito degli Italici, al Giro d’Italia Amatori Fci, al Trofeo Centro d’Italia Lazio Cycling e alla Combinata Hicari. Tre i percorsi: granfondo di 122 chilometri (1900 metri di dislivello), mediofondo di 82 chilometri (1500 metri di dislivello) e cicloturistico di 50 chilometri (750 metri di dislivello). Confermati tutti e dieci i ristori, più quello finale al traguardo. Sarà ampliato il servizio medico con sei autoambulanze al seguito della carovana ciclistica e il punto medico al traguardo. Ricco il pacco gara: prodotti tecnici, integratori e prodotto tipico locale. Novità importantissima saranno l’arrivo e la partenza all’interno del centro abitato di Passo Corese. L’organizzazione ha lavorato su un paio di modifiche nei percorsi per togliere due tratti con fondo sconnesso. Apportate inoltre due deviazioni che allungheranno i percorsi di una decina di chilometri senza però aumentare il dislivello. Tante le località suggestive che saranno affrontate nel corso della manifestazione. Al chilometro 30 ci sarà la deviazione per i cicloturisti, che si ricongiungeranno con mediofondo e granfondo a Granica di Castelnuovo di Farfa (poco più di 15 chilometri all’arrivo). La divisone tra granfondo e mediofondo sarà in località Fiacchini: la mediofondo girerà a sinistra verso Casaprota, la granfondo a destra verso Poggio Moiano. Ci sarà anche una gara nella gara, con la cronoscalata individuale presso l’abazia benedettina di Santa Maria in Farfa, aperta anche ai cicloturisti purché muniti di chip, che vedrà premiati tutti i vincitori di categoria. Riconfermate le stesse modalità del 2011 per le premiazioni individuali e per quelle degli assoluti, mentre la premiazione per le società sarà allargata alle prime dieci. Simpatico omaggio pensato dagli organizzatori sarà l’iscrizione gratuita per eventuali partecipanti nati proprio il 10 giugno. Encomiabile, come sottolineano gli organizzatori, la collaborazione data dall’Amministrazione di Fara in Sabina. Allo studio, poi, una convenzione con le strutture ricettive: circa 40 euro con pernottamento, prima colazione e possibilità di usufruire della stanza anche per il dopo gara sino alle 17 del pomeriggio. La presentazione ufficiale si terrà tra la fine marzo e gli inizi di aprile. Tutte le info su www.granfondodellecerase.com.

Domenica 8 luglio tutti a Caldarola (Mc) per la 22^ Granfondo dei Sibillini. Dopo la parentesi del 2011, dovuta alla concomitanza della manifestazione con il concerto di Uto Ughi, quest’anno si tornerà a transitare all’interno del Parco nazionale dei Sibillini. A cavallo tra Marche e Umbria, il territorio del parco è un crocevia di antichissime tradizioni gastronomiche e offre scorci e bellezze naturali a dir poco mozzafiato. Partenza alle 8,30. Due i percorsi: il lungo di 155 chilometri e il corto di 95. Prevista, come ormai da alcuni anni, la partenza alla francese dalle 6,30 alle 7,30. Il pasto finale offerto ai concorrenti (si potrà scegliere tra tre primi e tre secondi e poi frutta, dolci locali e Vernaccia) verrà servito non più nella palestra, ma nelle grotte del palazzo comunale: locali belli da vedersi, ma soprattutto freschi (è consigliabile munirsi di maglietta per coprirsi). Confermato il concorso pulizia che prevede un omaggio (la salvietta One Day Sport, da molti soprannominata “doccia portatile”) a chi riporterà carta, plastica e lattine e altri rifiuti. Confermato anche il cocomero party ed il ristoro che si potrà consumare subito dopo l’arrivo. Nel corso della gara i partecipanti pedaleranno in un territorio ricco di borghi e luoghi carichi di storia e di bellezze artistico-architettoniche, tra cui Belforte del Chienti, San Ginesio e Cessapalombo, Morchella, Gabella Nuova, Sarnano, Amandola, Montefortino, Montemonaco, Montegallo, Balzo, Castelluccio di Norcia, Gualdo, Castelsantangelo sul Nera, Visso, Pievetorina, Muccia, Monastero, Fiastra e Macereto. Senza dimenticare la natura, che in queste zone si presenta magica e ricca di panorami e scorci mozzafiato. La Granfondo dei Sibillini è anche prova del Marche Marathon, del Tour Race dell’Adriatico e del Campionato italiano Fondo e Mediofondo Udace. Info su www.granfondodeisibillini.it.


Il 19 agosto il circuito si trasferirà a Vasanello (Vt) per il Giro Alto Lazio-Knut Knudsen, che si svolgerà tra i Monti Cimini e la Valle del Tevere, attraversando borghi e paesi più o meno conosciuti ma di certo tutti da scoprire. La manifestazione sarà anche prova del Campionato italiano Udace e del Circuito Interforze. Il via sarà dato alle 8.45 da viale Marconi con partenze separate sotto un verde ombrello di platani e al centro di due stupende aree verdi. Vasanello sorge in collina, a poca distanza dall’uscita A1 (casello di Orte), e prende il nome dalla produzione di ceramiche, soprattutto vasi, ormai scomparsa. Sulla piazza centrale troneggia il Castello degli Orsini. Senza dubbio di grande bellezza è tutto il centro storico, ottimamente conservato. Dopo la partenza, i concorrenti toccheranno Orte, centro famoso per l’Ottava medioevale, manifestazione dedicata al patrono Sant’Egidio con il bellissimo corteo storico e il palio delle contrade. Da Orte si prosegue in direzione di Amelia e appena passato il ponte sul fiume Tevere sarà dato il via agonistico. Dalla valle si sale fino a ridosso dell’abitato di Amelia (passando davanti alla comunità Incontro di don Gelmini). Poco prima di quest’antica città, famosa per le sue ciclopiche mura e le distese di lecci e olivi, si svolterà a sinistra per il famoso strappo di Montenero (circa 1 chilometro al 14-17%), terminato il quale si girerà ancora a sinistra per proseguire in direzione Porchiano del Monte, arroccato su un colle immerso tra boschi di verdeggianti lecci. Proseguendo si giungerà a Lugnano (uno dei borghi più belli d’Italia), che offre una natura incontaminata, un centro storico di notevole valore e un’ampia vista sulla valle del Tevere fino ai Monti Cimini. Da Lugnano, con una bella discesa, si giungerà ad Attigliano, paesino adagiato sulle sponde del Biondo Fiume, e poi si salirà fino a Giove, paese così chiamato per il tempio dedicato a Zeus. Si giungerà quindi ad Amelia, si proseguirà per Orte e infine si tornerà a Vasanello. Poche decine di metri prima della piazza, i corridori troveranno la divisione dei due tracciati, i partecipanti al corto andranno all’arrivo posto in viale Marconi, mentre gli atleti del lungo percorreranno un anello di circa 28 chilometri, che li porterà a lambire Sant’Eutizio, dove presso il monastero si possono visitare le catacombe cristiane, Soriano nel Cimino, famosissima per la sua Sagra delle Castagne, e il pittoresco borgo di Bassano in Teverina, fino all’epilogo a Vasanello. Da vedere in zona il famoso Parco dei Mostri di Bomarzo, le aree archeologiche etrusche e romane, il Cimino con i suoi alberi secolari, il lago di Vico, di natura vulcanica, e infine Viterbo, dove si potrà ammirare Il Palazzo papale e il medioevale quartiere San Pellegrino. Info su www.giroaltolazio.it.

Il 2 settembre si tornerà in Toscana, questa volta a Monteroni d’Arbia (Si), per la 17^ Fondo della Valdarbia, prova del Circuito Terre di Siena - Strada e Mtb, del Circuito del Cuore e del Campionato provinciale senese di Fondo Uisp. La manifestazione porterà i partecipanti nel cuore delle Crete Senesi, zona turistica famosa in tutto il mondo per il suo caratteristico paesaggio collinare, pressoché spoglio di vegetazione boschiva, che a tratti sembra costituire un paesaggio lunare. Oggi è uno dei paesaggi più caratteristici della Toscana. Sede di partenza e arrivo sarà Monteroni d’Arbia, la cui possente Grancia di Cuna è uno dei pochissimi esempi rimasti di fattorie fortificate medioevali. I corridori toccheranno anche Buonconvento (presenta mura medioevali e un borgo perfettamente conservato), Montalcino (patria del famosissimo vino Brunello, conosciuto in tutto il mondo), San Giovanni d’Asso (immersa nel centro delle Crete Senesi e patria del tartufo bianco) e Asciano (“capoluogo” delle Crete Senesi, con i suoi periodici “Mercatini delle Crete” che espongono oggetti di artigianato, antiquariato, collezionismo, curiosità e prodotti tipici). Tre i percorsi: il cicloturistico di 50 chilometri, il medio di 88 chilometri e il lungo di 137 chilometri. Anche quest’anno verrà ripetuta la classifica a coppie maschili-femminili, con una novità: ogni concorrente femminile potrà a sua richiesta abbinarsi a un concorrente maschile del medesimo percorso (lungo con lungo e medio con medio). L’abbinamento dovrà essere dichiarato al momento dell’iscrizione e a ciascun atleta facente parte di una coppia verrà fornito un simbolo di riconoscimento da apporre sulla bici. A fine gara verrà stilata, sulla base dei risultati elaborati da Winning Time, un’ulteriore classifica riguardante le coppie. Ulteriori info su www.ciclisticavaldarbia.it.

Per informazioni visitare il sito www.circuitodeglitalici.it.


Fonte:  circuitodeglitalici

Ufficio Stampa-Andrea Passeri

Giovedì, 09 Febbraio 2012 08:53

Nasce Piemonte Bike Tour

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Nasce ufficialmente “Piemonte Bike Tour”, circuito ciclistico amatoriale, patrocinato e coordinato dal Comitato Piemontese della Federazione Ciclistica Italiana. Un circuito che si articolerà su 7 Granfondo inserite nel calendario nazionale ciclo amatoriale del 2012 della FCI, la cui partecipazione è aperta a tutti gli atleti di ambo i sessi con età compresa tra i 18 ed i 70 anni tesserati alla F.C.I. o agli altri Enti della consulta che avranno effettuato l’iscrizione ad almeno una manifestazione dell’intero calendario.
Un calendario concentrato nei mesi primaverili/estivi che spazia fra le province piemontesi e che mira a diventare un punto di riferimento non solo per i granfondisti locali. Un calendario che spazia tra eventi storici del panorama Granfondistico nazionale, su percorsi che ricalcano la storia del grande ciclismo d’altri tempi.
Un circuito atipico, che concentra la propria attenzione alla promozione dell’attività ciclistica nel suo insieme, alla ricerca della crescita dei partecipanti alle singole manifestazioni e che, tramite la stilatura di classifiche legate alla partecipazione a ciascun evento, possa ricreare quel sano agonismo che sta alla base dell’attività sportiva in genere.

  • IL CALENDARIO 2012

01 aprile 2012    Gran Fondo Dolci Terre di Novi – Novi Ligure (AL)

01 maggio 2012 Gran Fondo Città di Novara – Novara (NO) – in via di definizione

13 maggio 2012 La Resistenza – Granfondo Andrea Tafi – Ovada (AL)

27 maggio 2012 Giro delle Valli Monregalesi – Mondovi’ (CN)

24 giugno 2012  Kappa Marathon – Rivoli (TO)

08 luglio 2012    La Fausto Coppi – Cuneo (CN)

26 agosto 2012  Gran Fondo della Nocciola Alta Langa – Bossolasco (CN)

Offriamo una breve presentazione delle 7 prove in programma per cominciare ad assaporare cosa ci aspetta.

 

  • 1 aprile 2012 - Gran Fondo Dolci Terre di Novi – Novi Ligure (AL)

11^ edizione per questa manifestazione ciclo sportiva amatoriale che si svolge sulle strade che furono terreno di allenamento dei Campionissimi Coppi e Girardengo e dei lori fidi “gregari”. Due percorsi 130 km per il percorso lungo, 105 per il percorso medio.

 

  • 1 maggio 2012 - GP Città di Novara – Novara (NO)

Importante novità nel calendario granfondistico nazionale. Un evento ancora in via di definizione di cui presto conoscerete tutti i dettagli

  • 13 maggio 2012 - La Resistenza – Granfondo Andrea Tafi – Ovada (AL)

Seconda edizione della Gran Fondo ovadese che cambia data dopo il buon esordio della passata stagione. Molte le novità in vista. Nuovissima location per la partenza, teatro dello start sarà infatti la centralissima Corso Martiri della Libertà, la storica sede del Traguardo Volante della “Classicissima” Milano-Sanremo. Un pizzico di storia del ciclismo di ieri che si incontra con la bellezza del ciclismo di oggi.

  • 27 maggio 2012 - Giro delle Valli Monregalesi – Mondovi’ (CN)

15^ edizione per la classica che attraversa le valli monregalesi organizzata dall’Associazione Ciclo Amateurs Mondovì. Con l’ascesa al Colle di Prel, Cima Coppi dell’evento riviviamo la storia del ciclismo. Il passaggio a Prato Nevoso è stato infatti meta di due Tappe del Giro d’Itaila (nel 1996 e nel 2000) e una del Tour de France (nel 2008).

  • 24 giugno 2012 - Kappa Marathon – Rivoli (TO)

La decima edizione della Kappa Marathon - Granfondo di Torino Kappa Marathon – Gran Premio Città di Rivoli  offrirà come nelle passate edizioni due percorsi, uno più impegnativo e competitivo ed uno più breve ed affrontabile, due soluzioni perfette per tutti i gusti: passisti, scalatori e velocisti.

 

  • 8 luglio 2012 - La Fausto Coppi – Cuneo (CN)

Il percorso de “La Fausto Coppi Selle San Marco” è stato creato per rendere l’evento un’esperienza unica ed emozionante. 4500 metri di dislivello complessivo per la gara principe, 2500 metri per la medio fondo, con il picco più alto ai 2485 metri del Colle Fauniera. La manifestazione celebra quest’anno i suoi 25 anni di storia. Conosciuta in Italia ed Europa come una delle grandi classiche, la Fausto Coppi Selle San Marco vede tantissimi appassionati arrivare da oltralpe ma anche da Belgio, Germania, Danimarca, Olanda, Australia e USA (con una delegazione ad oggi di 20 atleti).

 

  • 26 agosto 2012 - Gran Fondo della Nocciola Alta Langa – Bossolasco (CN)

L’Alta Langa Gran Fondo della Nocciola è diventato un appuntamento imperdibile per chi vuole vivere l’emozione di pedalare su un percorso mitico. 6 ore di tempo massimo per percorrere la Granfondo. 125 km di strade che si snodano su un percorso immerso nella natura tra le colline, i vigneti e i noccioleti dell’Alta Langa. Il dislivello totale è di 2000 metri. I partecipanti dovranno affrontare sei salite di diversa difficoltà, dedicate ai grandi del ciclismo: Jacques Anquetil, Fausto Coppi, Marco Pantani, Charly Gaul, Gino Bartali e Louison Bobet.

 

 

LE CLASSIFICHE PREVISTE

Per rendere più coinvolgente ed interessante la partecipazione ai singoli eventi, verranno redatte le seguenti tipologie di classifica:

 

a) Classifica individuale per categoria di Gran Fondo;

b) Classifica individuale per categoria di Medio Fondo;

c) Classifica di società per chilometri percorsi;

d) Classifica individuale dello scalatore Gran Fondo.

 

Ad ogni prova verranno assegnati i punteggi ai primi 30 classificati di ciascuna categoria. Inoltre a tutti gli atleti che prenderanno regolarmente il via in ogni prova, classificatisi oltre tale posizione, verrà assegnato un gettone di presenza di 1 punto (che verrà sempre conteggiato in classifica anche nel caso non si riesca a portare a termine la prova). I punteggi verranno assegnati in base alla classifica di ogni categoria sia per il percorso Gran Fondo che per il percorso Medio Fondo come segue: 50p. al 1° , 44 p. al 2°, 40 p. al 3°, 36 p. al 4°, 32 p. al 5° , 30 p. al 6°, 28 p. al 7°, 26 p. all’8°, 24 p. al 9°, 22 p. al 10°, 20 p. all’11°. Dal 12° posto al 30° posto di categoria verranno assegnati a scalare di 1 punto partendo da  19 p fino ad arrivare ad 1 p.

La classifica di categoria sarà data dalla sommatoria dei migliori 5 punteggi ottenuti nelle varie manifestazioni. Saranno quindi ammessi lo scarto di due prove.  Per rientrare nelle classifiche finali sarà obbligatorio prendere parte ad almeno 4 prove. Per la classifica dello scalatore non è previsto nessuno scarto e nessun numero minimo di partecipazioni.

Montepremi finale

Verranno premiati i primi 5 classificati di ciascuna categoria prevista sia per i percorsi Medio Fondo che per i percorsi Gran Fondo ed i primi 10 concorrenti maschili e le prime 5 femminili della classifica dello scalatore. Verranno inoltre premiate le prime 10 società che avranno totalizzato il maggior numero di chilometri pedalati.

Brevetto di partecipazione

Tutti i partecipanti che prenderanno parte ad almeno 6 le prove (è sufficiente prendere il via) verrà riconosciuto un brevetto di partecipazione. Il premio consisterà in una piacevolissima sorpresa da vivere tutti assieme durante le premiazioni finali.

Per informazioni:  Ufficio Stampa Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Fonte: outdoorpassion.lastampa

Mercoledì, 08 Febbraio 2012 12:21

Salviamo i ciclisti!

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Il Times di Londra ha fatto partire una campagna per la sicurezza in bicicletta. Diversi blogger italiani hanno redatto questa lettera, spedita ai maggiori quotidiani italiani.

Gentili direttori del Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Gazzetta dello Sport, Corriere dello Sport, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, il Sole 24 Ore, Tuttosport, La Nazione, Il Mattino, Il Gazzettino, La Gazzetta del Mezzogiorno, Il Giornale, Il Secolo XIX, Il Fatto quotidiano, Il Tirreno, Il giornale di Sicilia, Libero, La Sicilia, Avvenire.

La scorsa settimana il Times di Londra ha lanciato una campagna a sostegno delle sicurezza dei ciclisti che sta riscuotendo un notevole successo (oltre 20.000 adesioni in soli 5 giorni).

In Gran Bretagna hanno deciso di correre ai ripari e di chiedere un impegno alla politica per far fronte agli oltre 1.275 ciclisti uccisi sulle strade britanniche negli ultimi 10 anni. In 10 anni in Italia sono state 2.556 le vittime su due ruote, più del doppio di quelle del Regno Unito.

Questa è una cifra vergognosa per un paese che più di ogni altro ha storicamente dato allo sviluppo della bicicletta e del ciclismo ed è per questo motivo chiediamo che anche in Italia vengano adottati gli 8 punti del manifesto del Times:

  1. Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
  2. I 500 incroci più pericolosi del paese devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori preferenziali per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere eventuali ciclisti presenti sul lato.
  3. Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti.
  4. Il 2% del budget dell’ANAS dovrà essere destinato alla creazione di piste ciclabili di nuova generazione.
  5. La formazione di ciclisti e autisti deve essere migliorata e la sicurezza dei ciclisti deve diventare una parte fondamentale dei test di guida.
  6. 30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.
  7. I privati devono essere invitati a sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato dalla Barclays
  8. Ogni città deve nominare un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme.

 

Cari direttori, il manifesto del Times è stato dettato dal buon senso e da una forte dose di senso civico. È proprio perché queste tematiche non hanno colore politico che chiediamo un contributo da tutti voi affinché anche in Italia il senso civico e il buon senso prendano finalmente il sopravvento.

Vi chiediamo di essere promotori di quel cambiamento di cui il paese ha bisogno e di aiutarci a salvare molte vite umane.

Chiunque volesse contribuire al buon esito di questa campagna può condividere questa lettera attraverso Facebook, attraverso il proprio blog o sito, attraverso Twitter utilizzando l’hashtag #salvaiciclisti e, ovviamente, inviandola via mail ai principali quotidiani italiani.

Scarica qui la lista degli indirizzi mail.

Tutti gli aderenti all’iniziativa saranno visibili sulla pagina Facebook: salviamo i ciclisti

 

Hanno aderito all’iniziativa:

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Presentato da

In collaborazione con: Fondazione Forma, Centro Internazionale di Fotografia, Ciclistica, Contrasto e il Saggiatore un parterre d’anti-rois che è pronto a scrutinare e scovare i nuovi talenti dell’arte del futuro.

COSA ASPETTI?

“Ciclista! interessante essere bigenere, biruota che sfidi ogni giorno le intemperie e la nausea di un mondo seduto. É giunto il momento di andare oltre i tuoi stessi limiti”.
ERESIE CICLICHE è il primo concorso immaginifico dedicato alla fotografia dei ciclisti eretici.
dovrai fotografare la più impossibile, , futuristica, , irrispettosa, ironica, bastarda posa che tu o chi con te possa fare con una bicicletta.
Puoi prenderla da qualsiasi lato, con qualsiasi intento, puoi renderla , nostalgica, cubista, ma deve essere qualcosa che irrompe pericolosamente nella normalità, mettendola in discussione.

COME PARTECIPARE

Ogni concorrente può inviare una sola foto, formato file jpeg dimensioni 1024×768 pixel, risoluzione 72 dpi.
La scadenza per l’invio delle foto è il 29 febbraio 2012.
Per partecipare, basta inviare la proprio immagine all’indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. con il nome dell’autore, luogo, data e ora dello scatto e una breve descrizione.
Tutte le foto partecipanti saranno caricate in una stessa categoria.
La prima scrematura dei lavori sarà fatta dai lettori: alla giuria arriveranno infatti solo le 10 foto preferite dai lettori di MilanoX. Quindi, se volete vincere, spammate la vostra foto a tutti gli amici e fateli “votare”.
I primi 10 lavori con più “likes” arriveranno sul tavolo della giuria, composta da: , fondatore di MilanoX, , fondatore di Ciclistica, vicepresidente della Fondazione Forma, Centro Internazionale di Fotografia.

PREMI

Il loro insindacabile giudizio è assegnata la scelta dei primi tre vincitori, che saranno invitati a ritirare il premio in una serata ad hoc!!!

• 1°premio: si chiama “il Mezzo”, è una bicicletta interamente artigianale prodotta da Ciclistica del valore di 600euro
• 2° premio: 7 libri di fotografia offerti da Contrasto
• 3° premio: 7 libri della casa editrice il il Saggiatore

Le prime 3 foto saranno esposte per un mese all’ingresso di Fondazione Forma, Centro Internazionale di Fotografia.
Inoltre ci saranno le t-shirts di MilanoX per i primi dieci e la maglia nera all’ultimo degli ultimi!!!

TEMPI

- 25 dicembre: avvio del concorso
- 29 febbraio: pubblicazione delle foto sul sito milanox.eu
- 15 marzo: fine delle votazioni online
- 20 marzo: decisione della giuria
- 25 marzo: comunicazione pubblica dei vincitori
- 31 marzo: serata di premiazione

DIRITTI

tutte le foto caricate dovranno avere una licenza creativa di questo tipo:
attribuzione – non commerciale – Condividi allo stesso modo 3.0
oppure
attribuzione – non commerciale – non opere derivate 3.0

CONTATTI

siamo pronti a rispondere ad ogni vostra domanda
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Ogni giorno 4 ciclisti e 5 pedoni hanno un incidente, più del 10% del totale italiano.  Nel 2010 in Italia sono morti investiti 569 pedoni (di cui 103 sopra gli 80 anni) e 263 ciclisti: più di due vite spezzate al giorno, quasi il doppio dei morti sul lavoro e più delle vittime di guerra. 
La bicicletta e' il mezzo di trasporto piu' pericoloso che ci sia. A confermarlo oggi e' una campagna di sensibilizzazione per la tutela dei ciclisti lanciata dal Times di Londra. Il quotidiano british ha aperto l'edizione cartacea con il titolo 'Save our cyclists', rilanciando l'iniziativa attraverso il sito internet. Secondo l'Ania, che plaude alla campagna inglese, 'in 10 anni sulle strade britanniche sono morti 1.275 ciclisti e, dalle statistiche europee, risulta che nel solo 2010 si sono registrate 104 vittime in incidenti che hanno coinvolto biciclette. In Italia lo scenario è ancora piu' negativo: nel 2010 sono morti 263 ciclisti (6% del totale dei morti), 2.556 nel corso dell'ultimo decennio. Oggi in Italia circolano oltre 11milioni di biciclette. A livello europeo, nel 2010, il nostro Paese si colloca al terzo posto per la mortalità stradale dei ciclisti, preceduto solo dalla Germania (462 morti) e dalla Polonia (280). Situazione migliore in Romania (182), Francia (147), Olanda (138) e Gran Bretagna (104).'. Dunque, come tutelare i ciclisti?Indispensabile il rispetto delle regole della strada, supportato dal completamento dell'iter legislativo per l'introduzione del reato di omicidio stradale in quei casi in cui gli incidenti sono causati dalla guida in stato psicofisico molto alterato o da una velocita' molto al di sopra dei limiti.

Fonte: newsbox

Martedì, 07 Febbraio 2012 08:43

Il mistero della bici bianca

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Di fronte alla chiesa di Sant'Anna a Lucca da un mese una bicicletta tutta tinta di bianco, e' legata ad un palo . Nelle vicinanze tutti si chiedono cosa significhi. E' una 'ghost bike', una 'bicicletta fantasma'. Si tratta dell'usanza nata negli Stati Uniti e poi diffusasi anche in Europa, di lasciare una bicicletta completamente dipinta di bianco lungo le strade dove e' morto uno o piu' ciclisti investiti da auto. Solitamente sulla bicicletta viene applicata una targa con il nome della vittima o delle vittime, ma su quella lasciata a Sant'Anna non e' stato messo nessun cartello. Lo scopo della bicicletta bianca e' quindi celebrare il ricordo dei ciclisti morti, ma anche essere da monito agli automobilisti, chiamati a rispettare gli utenti della strada che viaggiano su due ruote.

Fonte: noitv

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Sulla scia di Copenaghen, New York, Londra, Tokio, Milano, Roma, Bari (per citarne alcuni) anche a Torino nascono i pony express in bici. E’ partito da poco tempo un nuovo servizio: il Pony Zero Emissioni – Consegne in bicicletta. Conosciamoli nell'intervista di Easy Bike, il portale sulle due ruote in Piemonte.

Venerdì, 03 Febbraio 2012 21:13

Rwanda, il futuro e' arrivato in bici.

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Adrien e Gasore corrono per la nazionale di ciclismo ruandese. Uno è tutsi, l’altro hutu. Erano bambini ai tempi del genocidio. Pedalare sempre più forte è l’unico modo che hanno per lasciarsi il passato alle spalle.  Gasore Hategeka ha comprato la sua prima bicicletta nel 2008. Monomarcia, di fabbricazione cinese e visibilmente usata, costava 35mila franchi ruandesi, circa una sessantina di dollari. All’epoca Gasore aveva quasi vent’anni e lavorava da dieci per potersela permettere. Un tempo anche suo padre aveva una bicicletta. “Mi piaceva come funzionava, il suo meccanismo”, racconta Gasore, che non ricorda molto altro della sua infanzia. “Mio padre mi caricava sulla bici e mi portava con lui quando andava a lavorare nei campi. Dopo che è morto, ho continuato a pensare alla bicicletta. Era il mio sogno, non riuscivo a togliermela di mente”. Quando parla della bici, sembra riferirsi a un’entità quasi mistica: l’incarnazione di un ideale di autopropulsione. Gasore non sa con esattezza quand’è nato, quindi non sa se aveva nove o dieci anni nel 1997, quando suo padre è morto. Era un ubriacone, che non aveva neanche più i soldi per comprarsi da bere. Secondo Gasore sono state la sete e la tubercolosi a ucciderlo, ma non mi sembra sicuro neanche di questo. Nei suoi racconti c’è un’unica cosa certa sulla sua infanzia: “Mi sono dovuto arrangiare per sopravvivere”. Nel nordovest del Ruanda, tra le colline fredde e umide ai piedi dei monti Virunga, il terreno, nero di lava, è ideale per coltivare le patate. Così, da piccolo Gasore prese a girare per i mercati raccogliendo le patate di scarto. Nei giorni buoni gli capitava di trovare anche una banana o una cipolla. Se guadagnava qualche spicciolo, lo metteva da parte. Con il passare del tempo cominciò a trasportare le patate con una bicicletta di legno, una specie di triciclo preistorico formato da assi e ruote di legno modellate con il machete. Poi si unì ai facchini che caricavano i sacchi di patate sui camion. “C’erano dei ragazzi che affittavano le bici per imparare a usarle”, ricorda Gasore. “Quando avevo un po’ di soldi ne affittavo una e il proprietario della bici mi spingeva da dietro correndo”. In genere nelle campagne ruandesi non ci si sposta mai a più di un giorno di cammino da casa. Una distanza di circa venticinque chilometri, coperta principalmente in bicicletta. Pochi ruandesi possono permettersela, ma quando ce la fanno la spesa è facilmente ammortizzabile. Il giorno in cui Gasore ha comprato la bici ha usato i cinquemila franchi che gli restavano per iscriversi all’associazione locale di bici-taxi. Gasore preferiva trasportare merci piuttosto che persone. E se il tragitto era lungo, tanto meglio: gli piaceva passare il tempo osservando il paesaggio e sentendo la fatica fisica. Non ci sono molte pianure in Ruanda, e il nordovest del paese è tutto picchi e valli. Il villaggio di Gasore, Sashwara, si trova in uno dei punti più alti della strada principale, a 2.400 metri sul livello del mare. Da lì fino alla città di Gisenyi, al confine con la Repubblica Democratica del Congo, sono una settantina di chilometri, quasi tutti in discesa. Per Gasore, che spesso andava e tornava in giornata, la salita verso casa era la parte più bella. Quando racconta la sua storia Gasore non evoca mai il genocidio del 1994, la guerra civile che l’ha preceduto o il conflitto che l’ha seguito. Gasore è cresciuto tra violenze indescrivibili: quando il governo incitò la maggioranza hutu a sterminare la minoranza tutsi, nell’arco di cento giorni furono massacrate almeno 800mila persone. Altri milioni di persone, in gran parte hutu, dovettero poi fuggire dal paese. I familiari di Gasore erano hutu, ma lui non ne parla mai. Mi ha parlato solo delle sue sofferenze personali e della decisione di allontanarsene pedalando il più veloce possibile. La storia lo interessa per un solo motivo: vuole entrarci come ciclista. In Ruanda c’è una squadra nazionale di ciclismo, fondata nel 2007. I suoi atleti si allenano a Ruhengeri, quaranta chilometri a est di Sashwara. Gasore ci passava spesso con il suo bici-taxi e vedeva sfrecciare i corridori. Era abbagliato dai loro caschi e dalle loro tutine attillate azzurre, gialle e verdi con la scritta Team Rwanda. “Li inseguivo anche se avevo un passeggero a bordo”, racconta. Nella discesa verso Gisenyi riusciva a stargli dietro per tre minuti di fila. Ha cominciato ad allenarsi tutte le mattine prima del lavoro, andando su e giù per le colline. Per otto mesi si è allenato da solo, finché un giorno si è detto: “Posso farcela”. Innocent Sibomana, un ciclista della nazionale, è di Sashwara, come Gasore. Anche lui ha cominciato come conducente di bici-taxi e ha incoraggiato il suo amico a partecipare ad alcune gare locali. Gasore si è fatto notare a livello distrettuale e regionale e alla fine il Team Rwanda gli ha regalato una bici da corsa. Nel giugno del 2009 l’allenatore l’ha fatto entrare nella squadra. Nel febbraio del 2010 il Team Rwanda ha partecipato al Tour du Cameroun, gareggiando contro squadre africane ed europee. Nelle prime tappe Gasore ha corso discretamente. Al terzo giorno, però, ha forato sulla ghiaia e ha perso tempo ad aspettare la macchina della squadra che stava arrivando con la ruota di scorta. Raggiunto il gruppo, ha forato di nuovo sul ciglio della strada. A quel punto, dopo aver raggiunto di nuovo il gruppo, si è innervosito. Gli sembrava che i suoi compagni di squadra non corressero con vera convinzione. Durante gli allenamenti Gasore aveva imparato che doveva sempre rimanere insieme al gruppo, almeno fino all’ultimo tratto. Ma, nel bel mezzo della gara, in mezzo a un centinaio di altri ciclisti, ha pensato che quella regola non aveva senso. “A un certo punto sono partito”, ricorda. Su una salita ripida è scattato in avanti, distanziando tutti. Si è guardato indietro esitante, ma poi ha sentito delle grida di incoraggiamento che l’hanno convinto a impegnarsi ancora di più. Non ha vinto il Tour, ma quel giorno è stato il primo ruandese a salire sul gradino più alto del podio in una gara professionistica internazionale. Gasore è un uomo attento e pacato, possente più che grosso. Chi gli sta vicino può avvertire la selvatica solitudine di un bambino, cresciuto in mezzo ad altri vagabondi, che alla fine ha saputo trovare la sua strada. La prima volta l’ho incontrato nella primavera del 2010 a Ruhengeri. È qui che l’allenatore statunitense del Team Rwanda, Jonathan Boyer, detto “Jock”, vive con i suoi animali: il cane Zulu, il gatto Kongo e il corvo Jambo. Ogni settimana la squadra si riunisce a Ruhengeri per tre o quattro giorni di allenamento. Gasore abita vicino ma alcuni suoi compagni devono percorrere più di 160 chilometri per venire fino a qui. Man mano che arrivano, s’infilano sotto la doccia calda (un lusso mai visto nelle loro case), chiacchierano un po’, fanno regolare le bici dal meccanico, aggiornano la loro pagina Facebook o guardano le foto delle gare sui computer di Jock. Per molti ciclisti Jock è un padre. Lui li chiama “i suoi ragazzi”. Il Ruanda è noto per i massacri del passato recente, ma ai suoi atleti Jock non chiede nulla di più di quello che vogliono raccontargli. In fondo diciassette anni fa erano solo dei bambini. Tutti, hutu e tutsi, sanno che le loro identità li hanno divisi in passato e che quelle divisioni sono presenti ancora oggi. Ma loro vogliono farsi conoscere per un altro motivo. Quasi tutti gli atleti del Team Rwanda che ho conosciuto hanno cominciato guidando i bici-taxi o facendo gli scaricatori. Secondo Sibo, non c’è niente di strano: “Dopo la guerra tutti si sono rimboccati le maniche. Lavorare sodo è l’unico modo per lasciarsi il passato alle spalle”.Una mattina a Ruhengeri Jock e la sua fidanzata, Kimberly Coats, preparano la colazione per gli atleti, distribuendo grosse scodelle piene di cibo. Poi escono tutti per una pedalata di riscaldamento, dieci chilometri di salita lungo la strada principale. Jock li affianca in moto, con me seduto dietro di lui. Dopo un po’ divide i ciclisti in tre squadre e gli dice di gareggiare tra loro fino a un traguardo a circa cinquanta chilometri di distanza. È quasi tutta salita. In palio ci sono duemila franchi per ogni componente della squadra che vince. In un paese dove si guadagnano meno di ottocento franchi al giorno, mi spiega Jock, la somma “è un buon incentivo”. Il percorso si snoda tra villaggi di contadini, piantagioni di tè e campi di fagioli, carote e mais. I ciclisti passano vicino a pastori con lunghi bastoni, a squadre di condannati ai lavori forzati, a barbieri ambulanti e a scolarette con il grembiule che saltellano cantando. Comincia a piovere. Jock esorta i corridori a tenere duro. Alcuni bambini corrono sul ciglio della strada lanciando grida di incoraggiamento fino a che, sfiniti, si buttano per terra ridendo. I ciclisti sono una presenza familiare da quelle parti, ma sembra esserci una distanza incolmabile tra gli atleti (con le loro bici costose e il loro allenatore che prende i tempi con l’iPhone) e il mondo che attraversano. Una distanza incolmabile. Solo cinque anni prima Jock Boyer viveva con la madre a Carmel, in California. Da piccolo sognava di fare il veterinario per i grandi animali africani e a vent’anni, nel 1975, aveva viaggiato per un mese in Sudafrica, Rhodesia (poi Zimbabwe dal 1980), Mozambico, Swaziland e Lesotho. Però, quando all’inizio del 2006 il suo amico d’infanziaTom Ritcheygli ha chiesto se voleva partecipare a un’avventura ciclistica in Ruanda, Jock in un primo tempo ha rifiutato. Tom Ritchey è un noto disegnatore e costruttore di bici (è uno degli inventori della mountain bike), che con il suo lavoro ha fatto molti soldi. Ha scoperto il Ruanda grazie a un imprenditore statunitense, Dan Cooper, che ha aiutato le aziende Costco e Starbucks a entrare nel mercato locale del cafè. Ma all’epoca i raccolti venivano ancora trasportati a piedi o in bicicletta. Senza mezzi più rapidi, il cafè finiva per marcire e l’economia locale stagnava. Per rendere il processo più efficiente, Tom ha progettato una bici da carico più lunga, in grado di trasportare grossi sacchi di cafè. Lui e Dan hanno deciso di far costruire le bici negli Stati Uniti e poi portarle in Ruanda. Hanno fondato un’organizzazione non profit, Project Rwanda, e per promuoverla hanno deciso di organizzare una gara ciclistica, la Wooden bike classic. Ed è qui che è entrato in scena Jock. Jock condivide con Tom la passione per le bici e la fede cristiana. Ma fino a pochi anni fa non sapeva dove fosse il Ruanda. Né sapeva molto del genocidio. La sua vita era il ciclismo. Aveva cominciato a gareggiare e a vincere a quattordici anni, e a diciassette era partito per l’Europa. Nel 1981 era stato il primo statunitense a partecipare al Tour de France. È considerato un solitario: legge la Bibbia, non beve alcol e, cosa ancora più insolita tra i carnivori ossessionati dalle proteine che affollano il mondo del ciclismo, è vegetariano. Ha abbandonato il professionismo nel 1987, a 32 anni, dopo aver vinto più di quaranta titoli. La squadra, però, aveva cominciato a funzionare. Due anni prima, nel 2008, Adrien aveva partecipato di nuovo alla Cape Epic, questa volta con un compagno di squadra ruandese, ed erano arrivati al 26° posto. Poi era tornato a casa e aveva vinto il Tour of Rwanda. Poco dopo è stato ingaggiato dalla più importante squadra africana, la sudafricana Mtn Cycling. Anche il gruppo continuava a crescere: ogni settimana agli allenamenti si presentavano fino a sedici corridori. Gran parte dei finanziamenti arrivava ancora dagli Stati Uniti, ma il ministero ruandese della gioventù, dello sport e della cultura aveva cominciato a pagare alcune trasferte e a finanziare in parte il Tour of Rwanda. Il Tour era diventato un grosso affare. Nel 2009 l’Uci l’ha inserito tra le gare del circuito internazionale, assicurandogli visibilità e premi più alti. Quell’anno hanno partecipato squadre di dodici paesi africani ed europei. I ruandesi si assiepavano lungo le strade per seguire la gara e fare il tifo per gli atleti locali. Nella tappa finale, a Kigali, Adrien è arrivato terzo, dietro due marocchini. La città era così affollata di spettatori che la presenza della polizia è stata triplicata per fare in modo che i ciclisti non fossero intralciati. Si stima che circa tre milioni di ruandesi abbiano seguito il giro. Era una dimostrazione del fatto che il ciclismo aveva sempre più successo e gli atleti del Team Rwanda stavano diventando famosi. L’alto tasso di natalità del Ruanda (una famiglia in media ha più di cinque figli), unito al calo della mortalità infantile, ha causato un’esplosione demografica. Secondo il governo i ruandesi sono quasi undici milioni (un aumento del 100 per cento dai tempi del genocidio) e più della metà hanno meno di vent’anni. Confrontato con questi numeri, il successo di un gruppetto di ciclisti può sembrare poca cosa. Ma i ragazzi del Team Rwanda sono consapevoli di essere diventati una fonte d’ispirazione per molti. La maggior parte dei ruandesi, hutu o tutsi, afferma di voler dimenticare il passato. Subito dopo il genocidio ci si chiedeva in che modo un popolo diviso da una violenza così brutale potesse tornare a convivere. Il Fronte patriottico ruandese, il partito al potere dal 1994 a cui appartiene il presidente Paul Kagame, ha dato una risposta apparentemente semplice: ora siamo tutti, e prima di tutto, ruandesi. Questa è la dottrina alla base del nuovo stato, e tutte le sue istituzioni e iniziative devono servire a difenderla. Lo sterminio di quasi un milione di persone da parte dei loro connazionali è un evento che condiziona la storia di un paese per molte generazioni. L’obiettivo, quindi, era racchiudere una nazione a pezzi in una nuova identità collettiva. Questa identità ha il vantaggio di essere autentica: tutti i ruandesi, infatti, condividono nazionalità e lingua. Ma ha anche uno svantaggio: come tutti i diktat, può affermarsi solo a patto di dimenticare o nascondere altre verità. Il paradosso è che per lasciarsi il genocidio alle spalle, i ruandesi lo tengono costantemente davanti ai loro occhi, come un avvertimento delle minacce legate a un’identità divisa. La generazione dei più giovani, segnata dalla storia ma non direttamente responsabile del genocidio, non vuole limitarsi a coesistere e a seppellire il ricordo del massacro. I giovani sentono il bisogno di valorizzare l’identità ruandese. Superare il genocidio è lo scopo ufficiale del governo, che qualche anno fa ha cominciato a indicare lo sterminio con l’espressione “il genocidio dei tutsi” (il trauma delle guerre civili che hanno preceduto e seguito il genocidio non riceve lo stesso tipo di riconoscimento nelle cerimonie ufficiali, e non c’è ancora un bilancio delle loro vittime). Il governo ha anche promulgato leggi che proibiscono in generale tutti i discorsi “divisionisti”, vietando qualunque forma di espressione che potrebbe essere interpretata come incitamento all’odio tra etnie. A queste leggi si aggiungono, da un lato, il tabù sulla responsabilità degli hutu, dall’altro un’intima sensazione di vergogna collettiva. Tutto questo soffoca l’espressione del trauma vissuto dalla comunità hutu. Il timore, inoltre, è che paragonare l’esperienza degli hutu e dei tutsi possa sembrare una negazione del genocidio. Ed è un timore fondato, perché l’ideologia del “potere hutu” alla base del genocidio non è ancora scomparsa dall’orizzonte politico. Ma promuovendo la neutralità etnica, il governo crea nuova confusione. Chiedere a un ruandese a quale etnia appartiene è sempre stata considerata una domanda maleducata, ma oggi è diventato un tabù, se non un reato. Naturalmente i ruandesi sanno chi è hutu e chi tutsi e, come mi ha confessato un collaboratore del presidente, “se sentisse quello che diciamo gli uni degli altri ogni sera tra le mura di casa, dovrebbe arrestarci tutti”. Perfino gli stranieri spesso non hanno bisogno di informarsi sull’appartenenza etnica di una persona: se viveva in Ruanda nel 1994 e parlando dei suoi familiari non dice che sono sopravvissuti al genocidio, molto probabilmente è un hutu. Succede lo stesso nel Team Rwanda. Nella vita quotidiana della squadra, l’identità etnica sembrava irrilevante. Ma di fronte al passato emergono delle differenze: mentre i tutsi evocano con disinvoltura l’evidente rapporto tra le sofferenze di allora e il loro presente, i compagni hutu sono molto più riservati. Quando ho chiesto a Gasore se ricordava il genocidio e le guerre, che non aveva mai menzionato nei suoi racconti, mi ha risposto: “No, all’epoca ero troppo piccolo”. In realtà, aveva la stessa età di Adrien. Dopo il genocidio gran parte della popolazione hutu del nordovest fuggì nella Repubblica Democratica del Congo e vi rimase fino alla fine del 1996, quando Kagame incaricò l’esercito di riportarli indietro e di trovare chi si nascondeva. Gasore mi ha detto di non ricordare nemmeno questo. Negli anni successivi le forze superstiti dell’esercito del “potere hutu” e delle milizie che avevano commesso il genocidio tornarono in Ruanda seminando il terrore nel nordovest del paese. La ribellione fu soffocata dopo due anni. A pagarne le spese fu soprattutto la popolazione civile, intrappolata tra i due campi e accusata da entrambi di collaborare con il nemico. Furono uccise decine di migliaia di persone e centinaia di migliaia fuggirono. Nella squadra ci sono altri tre ciclisti hutu che, come Gasore, sono cresciuti nel nordovest del Ruanda nello stesso periodo, e mi hanno raccontato senza esitare le sofferenze vissute dalle loro famiglie. Sibo, il vicino di Gasore a Sashwara, ricorda di essere scappato con la famiglia nel 1994 e di aver camminato fino alla Repubblica Democratica del Congo, portandosi dietro solo una tanica di olio. Un altro ragazzo ha trascorso due anni nel campo profughi di Mugunga, vicino a Goma, poi è tornato nel suo villaggio, ma è dovuto fuggire di nuovo a causa della guerra. In quel periodo ha perso un fratello. Un terzo ciclista mi ha detto che i ribelli hutu hanno ucciso suo padre nel 1997 e che la sua famiglia era stata salvata dai soldati governativi.


Il ciclismo non è uno sport facile da seguire. Nelle discese gli atleti sfrecciano a ottanta chilometri all’ora. Nelle salite, se si rimane fermi lungo il percorso mentre i ciclisti passano pedalando convulsamente, è difficile capire come sta andando la gara. Eppure, nel novembre del 2010, durante tutto il Tour of Rwanda le folle ai lati del percorso sembravano infinite e, a giudicare dagli schiamazzi quando passavano i ciclisti, erano soddisfatte dello spettacolo. In quell’occasione ho chiesto alla madre di Adrien se pensava di andarlo a vedere, ma mi ha risposto di no: “Passerà così rapidamente che nemmeno lo riconoscerei”. Non vedeva il figlio da un anno, e anche se Adrien era tornato in Ruanda da due settimane, si erano sentiti solo al telefono. “Sono venuto per la gara”, mi ha detto Adrien. “Se vedessi la mia famiglia, non mi concentrerei. Preferisco finire la gara e poi andare a trovarli”. Era inflessibile. E fragile. Quando prima del Tour abbiamo chiacchierato sulla veranda dell’albergo, mi ha detto che non aveva voglia di correre a Rwamagana, il suo villaggio natale. “Per me è difficile spingermi a est”, mi ha spiegato. “Penso alla casa di mia nonna, dove sono stati tutti uccisi, e riaffiorano i ricordi”. Un giorno, allenandosi, era passato da quelle parti e aveva visto che la casa della nonna era stata distrutta. “Comincio a ripensare a tutti quegli eventi e cerco di pedalare il più in fretta possibile per allontanarmi. Ma non mi escono più dalla testa”. È stato per un attimo in silenzio, poi ha aggiunto: “Il problema, soprattutto quando vinco una gara, è che tutti sono circondati dalle loro famiglie, e io non ho nessuno”. Ha chinato la testa, è scoppiato a piangere, poi è corso via dalla veranda. In testa al gruppo Adrien è arrivato quinto il primo giorno del giro, e il giorno dopo era terzo. La quarta tappa era la strada di montagna lunga e impegnativa che collega Kigali e Gisenyi. Durante la prima ora, in una discesa ripida, la bici di un atleta keniano si è rotta e il ciclista è volato sopra il manubrio andando a sbattere contro uno dei ruandesi, che si è rotto la caviglia. Poco dopo Gasore, che era rimasto indietro, è caduto sulla ghiaia e si è sbucciato l’avambraccio destro e la mano sinistra. “Quando sono in coda, cado sempre”, ha detto. Io ero a bordo di una delle moto della squadra e abbiamo raggiunto Adrien subito dopo Ruhengeri, dove comincia la salita più ripida. La prima volta che aveva partecipato al Tour, sette anni prima, aveva pensato di abbandonare proprio in quel punto. Ora, invece, era in testa. Il paesaggio collinare davanti a noi è cambiato leggermente, e ho visto tre ciclisti che stavano raggiungendo una cima a circa un chilometro e mezzo da noi. Non c’erano altri atleti ruandesi in vista, ma quando sono passato vicino ad Adrien ha cominciato lentamente a staccarsi dal gruppo. Non si stava sforzando. Per chilometri ha continuato la salita sospeso fra i tre atleti in testa e il resto dei corridori, finché non è stato certo che quelli dietro di lui non avrebbero potuto raggiungerlo. A quel punto ha scatenato la sua forza, e per quasi venti minuti è salito da solo, al massimo della velocità, fino a raggiungere i tre che lo precedevano. Uno dei tre ha rallentato e Adrien è passato in testa. Nei villaggi piccoli e impervi lungo la strada si erano riunite folle rumorose di spettatori, e ogni tanto qualcuno s’illuminava, felice, riconoscendo la maglietta ruandese in testa. L’aria si è rinfrescata mentre passavamo accanto ai vulcani, e il cielo è diventato basso e cupo. A mezzogiorno era nero, e sembrava quasi di poterlo toccare. Quando ha cominciato a piovere, mi sembrava di essere dentro a una nuvola. Poi, proprio mentre attaccavamo la lunga discesa finale verso Gisenyi (trenta chilometri con novecento metri di dislivello), è scoppiato il temporale. A cinquanta chilometri all’ora, la pioggia era pungente. A ottanta, ho creduto che piovessero frustate, e indossavo dei pantaloni lunghi e una giacca a vento, oltre ad avere il casco con la visiera. Con la tuta da corsa, Adrien era come nudo. Probabilmente non vedeva nulla. Eppure cercava di andare ancora più veloce. È rimasto in testa fino alle porte di Gisenyi, ha perso qualche secondo subito prima del traguardo, ma l’ha tagliato alzando i pugni in segno di vittoria. Conosceva i tempi degli altri ciclisti nelle varie tappe, e pensava di averli battuti. I responsabili dovevano fare i calcoli, così Adrien, sguazzando nella pioggia, è andato a sedersi sotto un tendone. L’operazione è stata lunga, e intanto continuava a diluviare. Ma quando gli altoparlanti sono tornati in vita, Adrien ha scoperto di avere ragione. Aveva vinto. È saltato su con un sorriso raggiante e Kimberly Coats ha tirato fuori il cellulare per scattargli una foto. Ma nel giro di un attimo, il tempo di inquadrarlo, il viso di Adrien ha assunto un’espressione di estrema solitudine. Il giorno dopo, tornando a Kigali, Adrien è riuscito a mantenere il primo posto. I suoi fan erano scatenati e lui non la smetteva di sorridere. Ma ce l’aveva un po’ con i compagni di squadra: per due giorni aveva vinto per loro, ma loro non l’avevano aiutato affatto. Anche durante il resto del giro sono rimasti assenti. Adrien è sceso in seconda posizione, poi in settima, infine in ottava, ed è lì che ha tagliato il traguardo, cinque minuti dopo il campione eritreo. Ora che la gara era finita, doveva andare a trovare sua madre. Non sono riusciti a stare insieme molto tempo: da quando ha messo piede in casa, è arrivato un fiume di conoscenti e perfetti sconosciuti, tutti sorrisi e salamelecchi, che chiedevano di essere ricevuti per potergli spiegare i loro problemi e dirgli in che modo avrebbe potuto aiutarli. Adrien si è rifugiato a Kigali, dove ha una piccola casa, e dove sta meglio: “Le persone non sanno dove vado, cosa faccio o dove vivo. Invece quando sono a Rwamagana mi fanno un sacco di domande e chiedono soldi. Qui mi sento al sicuro, lontano dalle seccature”. “Ai poveri non piace vedere un altro povero che ce la fa”, mi spiega Jock. “Quando un ciclista torna a casa dagli Stati Uniti, dal Camerun o dal Sudafrica, è assalito da una valanga di persone che gli chiedono soldi”. Queste pressioni compromettono la concentrazione della squadra. “I miei corridori sono sempre presi di mira con le richieste di soldi, anche durante le gare”, mi racconta Jock. “Per loro è una continua battaglia”. Per gli standard locali, i ciclisti guadagnano bene. Per incoraggiare il lavoro di squadra, Jock mette insieme i premi e poi li distribuisce tra gli atleti che partecipano. Se a quello si aggiungono lo stipendio e i bonus del ministero dello sport a chi rappresenta il Ruanda nelle competizioni all’estero, i più bravi della squadra finiscono per guadagnare almeno seimila dollari all’anno, dieci volte più di quanto guadagnassero prima di entrare nel Team Rwanda. La tradizione vuole che un ruandese, se raggiunge un livello minimo di benessere, aiuti i parenti più bisognosi. Ma la definizione di “parenti”, in quel caso, può diventare incredibilmente ampia. Se hai successo in Ruanda di colpo tutti cominciano a chiamarti fratello, zio, cugino o, per far passare bene il messaggio,muzungu. Alle prese con rette scolastiche, cibo, vestiti, spese per la casa, e con le continue emergenze di salute o i decessi nell’universo familiare, i ciclisti sembrano tutti dirigere una fondazione privata. Per proteggere il loro capitale investono in piccole attività e costruiscono case dove andare a vivere con la famiglia. Oggi, quattro dei cinque componenti della formazione originale hanno una casa nuova. Eppure uno di loro di recente ha detto a Jock: “Non importa quanto guadagniamo, quanti soldi ci dai, la nostra condizione non cambierà mai”. Diverse volte, parlando dei suoi ciclisti, Jock mi ha detto: “I ruandesi sono dei grandi scalatori”. Ma la spirale della povertà potrebbe rendere la scalata verso il benessere una fatica di Sisifo. Se chiedete ad Adrien chi è la sua ragazza, lui risponderà “la mia bici”. Ama anche il suo paese ma non vuole rimanere a viverci finché è nel mondo del ciclismo. “Quando ho dei soldi, cerco di mandarli ai miei parenti. Ma quando torno a casa scoppia un dramma, ripenso a tutto quello che ho visto in Ruanda, riaffiorano i ricordi, la mia mente non è serena. Quando sono lontano dal mio paese, posso concentrarmi sul ciclismo. Quando avrò finito, tornerò in Ruanda. Ma per ora mi serve la concentrazione”.

Fonte: Philip Gourevitch,giornalista Statunitense del “The New Yorker”




Venerdì, 03 Febbraio 2012 21:01

Raccolta differenziata in bici

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Da circa 6 anni a questa parte,  il sig. Felice Carell, un pensionato, esce di casa tutte le mattine in sella alla sua “eco-bici”, trovata in mezzo alle campagne, per  tenere pulite le strade intorno alla sua zona di residenza.
Ogni giorno percorre chilometri e chilometri in sella alla sua bicicletta, perlustrando le campagne della pianura lodigiana, raccogliendo i rifiuti abbandonati dai propri concittadini e conferendoli a chi di dovere.
Pensionato residente a Zorlesco di Casalpusterlengo (Lodi), da alcuni anni combatte una battaglia molto personale contro l’abbandono dei rifiuti lungo le strade del Lodigiano.
Il signor Felice non riesce a capire come cartacce, bottiglie di plastica e lattine vengano gettate ai bordi delle strade o abbandonate nel verde, quando – impiegando lo stesso tempo e la stessa fatica – potrebbero essere tranquillamente differenziate o conferite alla discarica.
Fonte: vallesabbianews