Lunedì, 12 Novembre 2012 11:28

Arriva un super casco per ciclisti che chiama i soccorsi in caso di incidenti

Vota questo articolo
(0 Voti)
Il caschetto di solito per un ciclista è una mezza assicurazione sulla vita perché si sa che in caso di incidente può proteggere il cranio da colpi violenti. Purtroppo però non è sempre sufficiente, e soprattutto evita traumi gravi, ma non evita l'incidente stesso. Un inventore decisamente fantasioso, l'americano Arlene Ducao, ha invece realizzato un super caschetto con una tecnologia degna delle auto di ultima generazione.

 

Prima di tutto, può evitare che il ciclista si distragga o cada per un colpo di sonno. Sinceramente non penso che sia possibile avere un colpo di sonno su una bici, ma è sempre meglio equipaggiarsi. Il suo elmetto è capace quasi di leggere nel pensiero. In pratica utilizza uno strumento che effettua un encefalogramma le cui valutazioni vengono poi proiettate su un display a LED integrato. Un Arduino, radio bluetooth, una striscia di luce a LED, 3 transistor, e una batteria da 9V completano l'equipaggiamento.

Quando la lucina che compare è verde, vuol dire che il ciclista è ben concentrato sulla guida. Quando si ha un colpo di sonno o non si è molto concentrati, la lucina diventa rossa. Quando invece si è molto ansiosi e si va nel panico le luci diventano rosse e lampeggiano. Ma non finisce qui.

Questo splendido ritrovato della tecnologia, denominato ICEdot, contiene anche un rilevatore sensore di impatto. Nel malaugurato caso in cui nemmeno con gli avvertimenti si è riusciti ad evitare l'incidente, il sensore rileva l'impatto e dopo un certo lasso di tempo invia allo smartphone, su cui era stata scaricata l'applicazione, il comando di avvertire le autorità. Sfruttando il rilevatore GPS del telefonino infatti, i soccorsi possono arrivare sul posto preciso dell'incidente e magari salvare la vita al ciclista. Insomma, il caschetto non riuscirà ad evitare gli incidenti, ma magari le conseguenze negative sì.

Fonte: ecologiae.com

Letto 1482 volte

Potrebbero interessarti anche

  • A VeloCity si parla di sicurezza stradale: Il casco deve essere obbligatorio?

    Siamo sostenitori della bicicletta, e su questo non c’è alcun dubbio. Ma crediamo vivamente che la sicurezza sia un principio fondamentale anche quando si va in bici. Per cui non bisogna avere paura di perdere la bella acconciatura: caldo o non caldo il casco va messo anche quando si pedala. A Vienna si parla di mobilità urbana e soluzioni per far pedalare più gente possibile nelle città, ma anche dell’uso del casco. Per chi pedala da tanto tempo e lo usa regolarmente è quasi scontato, il problema non sembra sussistere, ma quando lo si tira fuori nell’ambito politico, economico, promozionale, si generano correnti di cui, a quanto pare, si deve tenere conto.

    Il rischio, sottolinea l’ECF (European Cyclist Federation) è che le leggi sul casco abbiano la precedenza (e siano usate come scusa) al posto di rendere le strade più sicure per i ciclisti. Simpatica l’iniziativa della polizia danese che ferma i ciclisti donando un abbraccio e un casco, gratis. Niente multe o sanzioni, ma un discorsetto nel quale viene spiegato il perchè è utile usare il casco. In Italia la questione è stata affrontata a più livelli e le prospettive di una legge sul casco obbligatorio erano preoccupanti in effetti: dal rischio di dire che si è fatta qualcosa per i ciclisti mettendo un obbligo per loro, senza toccare chi (e cosa) possa essere davvero un pericolo per l’andare in bicicletta, all’occasione per le assicurazioni come argomento in più da impugnare.

    L’occasione di Velo-City è stata di mettere a confronto diverse realtà internazionali (si è arrivati fino in Australia), dove i partecipanti hanno riportato la situazione dei loro paesi e gli studi annessi sull’utilità del casco. Fermo restando che il casco, ad averlo indossato, non hai mai ucciso nessuno. E onestamente, come cycle! e, soprattutto, come pedalatori quotidiani, la nostra esortazione rimane sempre nell’indossarlo. Non è certo la soluzioni ai problemi di sicurezza, ma è un aiuto in più che, vista la qualità raggiunta (pensiamo anche in termini di comfort: il casco in estate protegge dal caldo!) non ha senso lasciare a casa.

    Fonte: www.cyclemagazine.it
  • Odio verso i ciclisti, oggi come duecento anni fa
    Un articolo comparso [qualche mese fa - ndr] sul sito Fiab, firmato da Valerio Parigi, a proposito dell'"odio", o più morbidamente conflittualità, nei confronti dei ciclisti, potrebbe essere lo spunto per rintracciare qualche vecchia testimonianza storica di questo, apparentemente ingiustificato, sentimento di avversione verso gli utilizzatori della bicicletta.

    Piccola premessa: l'argomento, posto in questa chiave, di conflittualità appunto, è stato molto battuto nei mesi scorsi da diverse e importanti testate giornalistiche, nazionali e internazionali, probabilmente perché giudicato vincente sotto il punto di vista mediatico. Comunemente infatti, si è soliti schierarsi dalla parte di una o l'altra categoria, in questo caso di utenti della strada (ma l'abitudine vige anche in altri ambiti della società), dimenticando che spesso tali categorie coincidono.

    Tempo fa il Corriere della Sera aveva definito #salvaiciclisti come la campagna "che fa arrabbiare anche i pedoni", mentre la BBC, più recentemente, ha titolato un programma, trasmesso in prima serata, "La guerra sulle strade della Gran Bretagna", contrapponendo tra loro ciclisti e automobilisti. Il titolo, così come il programma, ovviamente non è piaciuto, perché secondo molti semplicistico e sensazionalistico. Ma come ha saggiamente sottolineato Kaya Burgess, una delle voci più rappresentative della campagna inglese #cyclesafe, questa "guerra" non ha senso di esistere. Il 90% di coloro che usano la bicicletta abitualmente, infatti, ha la patente, chi invece va solitamente in auto, è certamente anche un pedone, quanto meno nel tragitto che lo porta dal parcheggio a destinazione (e vista oggi la difficoltà di trovare un posto libero in città, immaginiamo debba essere pedone per diverse centinaia di metri).

    In un successivo e lapidario tweet, lo stesso Kaya Burgess ha poi tuonato: "chi dice che tutti i ciclisti sono indisciplinati e che tutti gli automobilisti sono degli assassini merita di essere snobbato e di non ricevere risposta". Posizione forse democristiana e un po' buonista? Nient'affatto, anzi piuttosto realista. Nella migliore delle ipotesi infatti, prendiamo il caso di Copenaghen, capitale della Danimarca e città bike friendly per antonomasia, si sposta in bicicletta circa il 30% dei cittadini, seguito da una quota quasi uguale di coloro che utilizzano l'automobile, e una minoranza che invece si muove a piedi o con il trasporto pubblico.

    E' per questo che almeno per il breve periodo, ciò a cui si può, e certamente si deve ambire, è una pacifica convivenza sulle strade, con buona pace di chi vorrebbe veder scomparire tutti i ciclisti e chi bruciare tutte le automobili in circolazione.

    Ma veniamo alle testimonianze. Le prime polemiche, allora sotto forma di ridicolizzazione, nei confronti dei ciclisti, sono state espresse praticamente fin dalla nascita della bicicletta stessa, attraverso alcune vignette dei primi anni del 1800. Si intenda per bicicletta la "draisina", sviluppata intorno al 1817, ben quarant'anni prima del "velocipede", quello con i primi pedali e la ruota grande anteriore, per capirci. In particolare, una vignetta del Federal Republican and Baltimore Telegraph parla nel 1819 di un nuovo strampalato mezzo a due ruote trainato da gente un po' sciocca, invece che dai cavalli come accadeva solitamente.

    La vignetta [nella foto - ndr], opera di Charles Williams, mostra un ciclista colpito alle spalle (o meglio al deretano!) da un forcone, e un altro gettato a terra e vistosamente maltrattato. In un particolare della raffigurazione, tra l'altro, viene mostrato un segnale stradale che indica la città di Coventry che, per una strana coincidenza, ha rappresentato dal 1870 in poi il cuore dell'industria ciclistica britannica.

    Tale iniziale diffidenza, per meglio dire presa di mira, nei confronti del nuovo umile mezzo, risiedeva secondo alcuni nel timore da parte di gruppi di pochi abbienti legati al commercio dei cavalli, che vedevano nella diffusione della bicicletta una minaccia al proliferare dei loro affari.

    La situazione di duecento anni fa, insomma, non era molto dissimile da quella che viviamo oggigiorno, in cui l'influenza delle case automobilistiche, in piena sinergia tra loro, tende a sfavorire le politiche per la ciclabilità malgrado la bicicletta sia oggettivamente riconosciuto il mezzo di trasporto più ecologico, sostenibile, economico, e in alcuni contesti urbani addirittura il più veloce.

    di Alessandro Micozzi - www.amicoinviaggio.it

    Fonte: Fiab onlus

  • Kranium: il casco per ciclisti in cartone
    La sicurezza in bici arriva dal cartone. Innovativo, eco compatibile, economico, resistente, queste le caratteristiche di Kranium, il caschetto protettivo per ciclisti progettato da Anirudha Surabhi, realizzato con il cartone da imballaggi.

    Il progetto ha preso corpo nell'ultimo anno di frequenza presso il Royal College of Art a Londra da parte di Anirudha Surabhi e come ogni storia commerciale che si rispetti, sta già iniziando ad assumure contorni epici. La storia tramanderà ai posteri che l'illuminazione per questa rivoluzinaria invenzione, sia avvenuta dopo una caduta in bici, con conseguente rottura del casco protettivo tradizionale, da parte dello studente di design al suo ultimo anno di corso. Incidente trasformato da Anirudha Surabhi in sfida per creare il casco per ciclisti più sicuro del pianeta. Tanto da diventare materiale e argomento della tesi finale. A dare concretezza all'idea, ci ha pensato l'osservazione della natura, e precisamente del comportamento del picchio, in grado di resistere a impatti ripetuti grazie alla struttura cartilaginea che separa il suo becco dal teschio. Anatomia che permette ad un picchio di colpire un albero nello stesso punto con una frequenza di 10 volte al secondo senza conseguenze strutturali. E' questo il concetto che ha dato vita alla struttura ad alveare del Kranium realizzato da un unico foglio di cartoncino, disegnato appunto sulla base della struttura della testa di un picchio. La scelta del cartone riciclato è avvenuta dopo aver testato 150 materiali diversi. La struttura ad alveare è risultata invece ottimale per fornire una zona di assorbimento in grado di assorbire l'energia d'urto. Una struttura che si è dimostrata talmente efficiente da sollevare l'interesse del team di Formula Uno Force India per applicare la tecnologia del Kranium ai caschi dei suoi piloti. La matrice di cartone è trattata con una soluzione idrorepellente per resistere all'acqua ed al sudore, racchiusa in un esterno di plastica, in grado di assorbire impatti fino a 250G. Il tutto assicurando, nelle parole del team di sviluppo, il triplo della protezione, con un peso ridotto del 15% rispetto ai caschi tradizionali.Kranium dovrebbe fare il suo esordio sul mercato nei prossimi giorni, con un prezzo che si suppone sarà inferiore ai 200 $, dopo che gli ultimi due anni sono stati dedicati alla ricerca di partner commerciali ed ai test dei prototipi presso laboratori di tutto il mondo, tra cui il TUV in Germania e l'HPE nel Regno Unito.

     

    Fonti: Effettoterra, La Stampa, core77.com, youtech.it

Itinerari

Tuttobike

Tutto quello che serve agli appassionati delle due ruote, punti vendita, assistenza, riparazioni e abbigliamento.